Dice il saggio: le coincidenze non sono mai casuali. Ed è questa la sensazione che ho provato oggi mentre attendevo l'inizio del Convegno "Enterprise 2.0: è il tempo di fare!" promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano e, scorrendo sul mio iPad l'edizione digitale del Corriere della Sera, leggevo l'articolo, lanciato in prima pagina, "Un nuovo Umanesimo in 10 principi", anticipazione dell'intervento che Julia Kristeva terrà all'incontro interreligioso di Assisi. Sensazione rafforzata dal fatto che il Convegno si svolgeva presso il Campus intitolato a Leonardo da Vinci, massima espressione della possibilite integrazione di Conoscenza Tecnologica e Sapere Umanistico.
Gli eventi successivi hanno mostrato che l'intuizione era giusta. Il Convegno si è aperto con la presentazione dei risultati conseguiti quest'anno dall'Osservatorio Enterprise 2.0 del Politecnico, che ha dovuto registrare il preoccupante ritardo delle imprese rispetto alla diffusione di modelli organizzativi e processi 2.0 rispetto alla esplosione del social networking nel mondo delle relazioni private e dei consumi.
Un ritardo che da molto tempo su questo blog denunciamo (vedi ad esempio il post "HR vs Facebook (ancora!): se la funzione HR è old normal") e che persiste anche se le aziende continuano ad illudersi di poter risolvere con roboanti dichiarazioni e operazioni di facciata che nascondono la sostanziale assenza di una vera volontà di impegnarsi in questo senso.
Un test significativo è stato effettuato dai Responsabili Scientifici dell'Osservatorio Enterprise 2.0 Mariano Corso e Stefano Mainetti. Ad un focus group di 23 Executive partner aderenti all'Osservatorio hanno chiesto: 1) l'Enterprise 2.0 è solo una moda? Il 70% degli intervistati ha risposto "Falso"; 2) L'Enterprise 2.0 è la naturale evoluzione dell'azienda? Il 70% degli intervistati ha risposto: "Vero"; 3) I social media sono solo uno strumento di marketing? Il 61% degli intervistati ha risposto: "Falso".
Quindi tutti d'accordo: il 2.0 è il nuovo paradigma dei modelli organizzativi. A parole. Perchè la ricerca condotta nei fatti dall'Osservatorio 2.0 ha mostrato risultati ben diversi. Da una intervista condotta su 250 manager di varie funzioni aziendali emerge ad esempio che nell'80% dei casi gli investimenti in strumentazione 2.0 è inferiore agli 80 k/anno, ed in grandissima parte "inferiore" significa "uguale a zero". Ancora risulta che i 5/6 delle aziende campione sono in uno stato di "Frozen Change" o comunque di grave ritardo rispetto ai processi di "Cultural Transformation" necessari per implementare le nuove tecnologie.
Ed è proprio questo il punto: non ostante siano ormai finiti gli alibi, nel senso che gli strumenti disponibili siano ormai numerossissimi e anche a buon mercato, le aziende non paiono avere la minima volontà di affrontare il ridisegno dei processi e la radicale trasformazione dei modelli organizzativi. Come ha affermato Stefano Mainetti, la maggior parte degli innovatori "finisce stritolata nella macchina dell'organizzazione" proprio come succede al Charlie Chaplin di Tempi Moderni, la cui immagine campeggiava sinistramente sui megaschermi mentre il professore pronunciava queste parole.
Come insomma ormai vado ripetendo da molti anni, solo un radicale abbondono dei Principi dello Scientific Management formalizzati da Taylor esattamente un secolo fa (1911) ma ancora ben vivi e operanti oggi, può far fare alle aziende l'ormai ineludibile salto di qualità. Ecco perchè, oltre alle necessarie modifiche sul versante "hard" della tecnologia che il Politecnico di Milano raccomanda, occorre ripensare alle radici la cultura aziendale, magari ispirandosi ai Principi del Nuovo Umanesimo proposti dalla Kristeva.
Ne ricordo qui solo alcuni. Uno è definito Processo di continua rifondazione. "L'umanesimo si sviluppa necessariamente attraverso rotture che sono innovazioni (il termine biblico hiddouch significa inaugurazione, innovazione e rinnovamento)… Occorre trasvalutare (Nietzsche) la tradizione: non c'è altro mezzo per combattere l'ignoranza e la censura, e facilitare così la coabitazione delle memorie culturali costruitesi nel corso della storia". E' proprio quello che le aziende, ci dicono gli esperti dell'Osservatorio anche se con il loro linguaggio tecnico, si rifiutano di fare, ma che rappresenta il presupposto cognitivo e culturale fondamentale per stravolgere l'attuale modello di Governance e Leadership gerarchico e top down con uno realmente trasversale e partecipativo. Solo così si può inoltre affermare anche in azienda quell'"umanesimo che è l'incontro di differenze culturali favorite dalla globalizzazione e dall'informatizzazione", come lo definisce Kristeva.
Ricordo infine qui il suo appello: "Umanisti, è attraverso la singolarità condivisibile dell'esperienza interiore che possiamo combattere quella nuova banalità del male che è l'automatizzazione della specie umana cui stiamo assistendo". Abbiamo affrontato recentemente questo tema in antitesi a quanto sostenuto da Maurizio Ferraris nel suo ultimo libro "Anima e iPad" nel contesto del Progetto Alice postmoderna. Ma già nel 2006, in "Nulla due volte. Il management attraverso la poesia di Wislawa Szymborska", sostenevo che le aziende dovevano uscire dal dilemma che contrappone "risorse umane “unidimensionali” e interscambiali, cloni, simulacri e replicanti dickiani, irresponsabili ed irriflessivi, ciecamente obbedienti versus identità uniche e molteplici, soggetti “in divenire” e pertanto mutanti, per quanto consapevoli della propria “singolarità”, aperti al futuro e in ‘colloquio’ con il mondo circostante, liberi in quanto capaci di vincolarsi a scelte responsabili".
Quello che occorre insomma è mettere in atto un modello di HUMANISTIC ENTERPRISE 2.0 o, come lo ho chiamato io, uno Humanistic Management 2.0 per le aziende. Una utopia? No, e lo dimostrano ancora i risultati cui è pervenuto l'Osservatorio del Politecnico, che ha individuato pochi ma significativi casi in cui "l'applicazione dei principi e degli strumenti dell'Enterprise 2.0 cambia i processi, le relazioni e i comportamenti. Con la concretezza dei loro benefici, queste iniziative testimoniano la rilevanza di un cambiamento che può e deve essere calato nei diversi processi di business". Ebbene, l'unico di questi ancora rarissimi esempi virtuosi che investe integralmente i processi di comunicazione interna, di Knowledge e Change Management, ovvero quei processi di continua rifondazione cui alludeva anche Kristeva e che devono essere calati a tutti i livelli per essere reali, a partire quindi dal livello delle organizzazioni aziendali, è il Portale MyEni: proprio quello strumento che ho avuto l'opportunità di progettare e avviare nel periodo 2000-2005, quando mi trovavo a capo della Comunicazione Interna ENI. Dieci anni dopo, i semi gettati allora sulla base dei principi dello Humanistic Management 2.0 danno oggi frutti copiosi.