Mission è funzione di vision e non viceversa.

Genio e regolatezza II

Di Piero Trupia

Cominciò a delinearsi nella sua mente ciò che      volle chiamare la Città del Desiderio. […]Una città irresistibile, punto d’incontro di diversi saperi, diverse culture e diverse religioni. […] La città era sempre gaia. Ogni donna era vestita di porpora e di scarlatto, adorna d’oro, di pietre preziose e di perle.

Il SOGNO IMPRENDITORIALE. Episodio N° 17 da Le Aziende In-Visibili. Romanzo a colori di Marco Minghetti & The Living Mutants Society. Con 190 immagini di Luigi Serafini, Libri Scheiwiller, 2008

“Io appartengo a me stesso e tramite il mio corpo appartengo al mondo”, affermazione recisa di Maurice Merleau-Ponty nella prefazione dello stesso autore a Fenomenologia della percezione (1945). Così prosegue: “Cartesio, e soprattutto Kant, hanno liberato il soggetto o, ciò che è lo stesso, la coscienza, mostrando che io non potrei afferrare alcunché come esistente, se prima non provassi a me stesso di esistere, se non mi riconoscessi esistente nell’atto di prendere-apprendere qualcosa del mondo.”

Merleau-Ponty richiama quindi Husserl, là dove distingue l’intenzionalità dell’atto – il rivolgersi volontario e consapevole del soggetto verso le cose del mondo – dall’intenzionalità fungente che ci fa presente il mondo anche quando non ne siamo consapevoli, quando, semplicemente, lo sentiamo. La fenomenologia, conclude, è una rivelazione del mondo, ce lo mostra, prima che sia discorsivizzato, che sia razionalizzato. Una filosofia che vuole essere ultrarazionale, si priva di questo contatto immediato.

Questa di Merleau-Ponty non è astrazione, è teoria che descrive il modo come ci rapportiamo con il reale prima ancora di cominciare a parlarne. Questo realismo immediato, istintivo e intuitivo è una caratteristica dell’imprenditorialità. Si traduce nella vision dell’impresa che, solo successivamente, ispira la mission.

Lo scientific management, al contrario, parte dalla mission, che traduce in formule, in base al settore operativo, alle caratteristiche del mercato ecc. e successivamente ne ricava, alla bell’e meglio, una vision buona per la brochure di presentazione e per i discorsi alla convention. Imprese tutte uguali, senz’anima.

Bocchini srl di Augusto Alberto Bocchini si trova nella Valle dell’Esìno e del Misa. Produce arredamenti funzionali per gelaterie, pasticcerie, supermercati, alberghi, banche. Arredi tecnologici che refrigerano, conservano, organizzano lo spazio, creano l’interfaccia con il cliente. Nascono da un’esigenza del cliente che il produttore coglie e interpreta.

Il nostro orizzonte è quello del cliente, vediamo il mondo con i suoi occhi e, prima di vederlo, lo sentiamo come lo sente lui. Prodotti su misura, in alcuni casi progettati caso per caso.

L’azienda esporta in tutto il mondo, ma non in Brasile a causa di un elevato dazio protettivo. La conseguenza è che in Brasile si vende poco gelato. Le vetrine frigo locali non evidenziano la merce e chi passa davanti il negozio non vede il gelato e non gliene viene voglia. I governanti non sanno di fenomenologia della percezione e del fatto che si appartiene al mondo tramite il corpo.

Alberto Augusto ha cercato una via d’uscita dalla crisi, innovando per favorire l’innovazione dei suoi clienti. “L’effettiva utilità del nostro prodotto per il cliente è la nostra scuola per l’innovazione”. Una di queste innovazioni è l’illuminazione fredda e diffusa della vetrina del gelato, realizzata da un fornitore artigiano vetraio, affogando dei led nel cristallo multistrato e temperato della vetrina e utilizzando un power supplier da computer con un assorbimento minimo di 18 watt per vetrina.

Poi c’è l’immancabile design, perché la gelateria non è uno spaccio dove si compra e si esce. È un luogo d’incontro, uno spazio di socialità un po’ boutique, un po’ salotto, sempre molto scintillante. 

La scrittura de Le Aziende in-Visibili è spiccatamente, omogeneamente barocca in una modalità tra Bernini e Borromini. Non, quindi, stucchi e ori, niente rococò. Abbondano i simboli, le immagini, le figure; è presente un’enfasi misurata, una ridondanza controllata, un fasto semantico mai privo però di referenza. È la cifra del barocco italiano, memore sempre della matrice classica. Non quello spettacolare di una macchina teatrale francese, non quello illusionistico dei fratelli Asam in Baviera.

Le Aziende in-Visibili hanno la struttura forte della macchina, ma il sapore “è dolce e turbatore come i nidi sulle cimase”. (Montale)

 

  • Emanuele |

    Ciao Piero, vero, rileggendomi riesco a malapena a compredermi da solo 🙂 Merleau Ponty si sarà anche ribaltato dalla tomba.
    Mi avava incuriosito la tematica della vision, sopratutto l’inversione che avevi sottolieanto, per vari motivi. Il primo è che trovo una proliferazione di usi del concetto veramente inappropriati, in conseguenza della moltiplicazione della letteratura da strapazzo di stampo manageriale. Per questo avevo ironicamente rimarcato, a quale tipo di strategic management facessi riferimento nell’articolo, o se semplicemente avessi citato tale disciplica manageriale per sostenere un tuo punto di vista. Non nego che ci possano esser tali inversioni di logica, e non sarebbe sorprendente nella letteratura economica, ma in molti testi che per curiostà mi hai portato diligentemente a risfogliare non ne ho trovate. In fondo, per quanto mille modi ci possono esser per definire la mission è sempre un “Voler fare” mentre la vision è lo scenario di riferimento futuro o desiderato (“Voler essere”) o previsto (suposto Essere), ma comunque sia è una dimensione di uno stato di cose e non performativa delle azioni da compiere. Per quello mi appallavo alla logica sostenendo, come è possibile darsi un piano di cambiamento nell’azione, una mission, se prima non si è fatta chiarezza dall’ambiente di riferimento sociale e valoriale, la vision e i valori di fondo. Una GDO potrebbe immaginare l’evoluzione dei consumi sempre più mossa dalla sicurezza alimentare, prevedere che fra 5 anni che la tendenza all’incertezza sulla garanzia della genuinità dei prodotti sia il più forte deterrente all’acquisto (scenario), assumere la trasparenza informativa come “valore” portante, essere leader nella correttezza della relazione con i clienti (vision) e adottare una politica di autenticità nell’intera filiera (mission), certificandola e inserire sulle etichette un codice a barre per verificare la tracciabilità del prodotto (strategia). E’ una semplificazione ai limiti del madornale, ma il livello di gerarchizzazione logica dovrebbe esser quello.

  • Piero |

    Caro Emmanuele, suppongo che le tue osservazioni siano pertinenti, ma la tua scrittura è alquanto futurista. Sono pertanto a pregarti di riformulare il tuo commento.
    Piero

  • Emnauele |

    Sarebbe curioso sapere di quale ascendenza assurga tali strategic management che partono dalla mission. Non esiste direzione se non si sa dove andare. Sembra più che intuitivo un assunto logico questo. E’ pur vero che l’imprenditorialità del nostro tessuto territoriale diffuso non distingue molte sottigliezze, se intuitivamente le proceduralizza bene altrimenti sono soggette ad innumerevoli millanterie. Un aspetto mi piacerebbe risaltare, la vision non è un processo intuitivo anche se nessuno sa dire quanto dipenda dalla creatività piuttosto che da motodi analitici. Nella letteratura seria sulle strategie d’impresa, in genere ci sono molte medotodologie per generare la vision, la più in voga perché più utilizzate è l’analsi di scenario. E’ una vera e propria analisi del contesto competitivo che incrocia variabili qualitate sì, ma che viene supportata da logiche epistemiche congruenti per la riduzione delle complessità. Merleay Ponty ha ridimensionato il valore di forme di razionalità che erano rimosse dalla logica classica, ritenuta corretamente fallace per ambienti complessi, in cui il senso globale ha più valore di significati locali, singolarmente presi nella loro dimensione semantica, che a quei tempi era, non guasta ricordarlo, frastica e non testuale, come lo era la linguistica di allora. Ben vengano sviluppi interdisciplinari allora che rimettino in opera le scienze del linguaggio, l’economia, anche di orientamento congnitivo alla Kahneman, e perché no, una buona filosofia.

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