No, non è un pesce d’aprile. Lo scorso 31 marzo 2009 un consorzio di compagnie ha sottoscritto un Manifesto di dichiarazioni ed intenti per il Cloud Computing. Dieci punti disegnano il futuro prossimo incentrandolo sulla centralità della persona, la vocazione filantropica, l’apertura, la trasparenza, l’interoperabilità, la rappresentatività degli stakeholders, la lotta alle discriminazioni, l’evoluzione continua, l’equilibrio tra interessi commerciali e privati, l’obbligo della sicurezza. Firmato Ibm, Cisco, Hp, Sun. Per puro caso il giorno dopo, il 1 aprile, Ibm ha annunciato l’inizio della sua migrazione verso il cloud computing con un investimento di dieci (come i punti del Manifesto) miliardi di dollari in un pacchetto applicativo pro-business contenente software di tipo Saas. Infatti Microsoft, Google e Amazon non hanno apposto la loro firma in calce al Manifesto, lamentando carenza di collaborazione e trasparenza – in pratica la creazione del Manifesto contraddice il Manifesto stesso.
Tra il pesante ingresso sul mercato di Ibm e le maldestre prove tecniche di Manifesto affiora la diffusione incontestabile della “nuvola”. Fornire applicazioni per computer di tipo scalare e via web – potrebbe essere questa la curvatura per creare un nuovo anello evolutivo, punto di domanda. Forse la risposta è già arrivata ed è positiva. Se costruire un castello in aria è una poetica immagine che conduce dritta al fallimento, costruire un’impresa su una nuvola non sembra così pericoloso. Un termine palindromo come Saas – “service as a software” – racchiude il segreto del successo: invece di acquistare costose licenze per interi sistemi di gestione ed investire in conseguenti dotazioni hardware, una compagnia, di qualunque taglia, acquista il diritto all’uso di un programma che viene fornito online, tramite un browser, senza esosi requisiti di sistema. Stop. E’ come una rivoluzione copernicana che sostituisce la centralità del singolo pc con la centralità di un software condiviso, “nebulizzato”. Oltre a questa versione nazional-popolare della nuvola, c’è anche quella più raffinata, sviluppata intorno ad un’architettura di servizi, infrastrutture, piattaforme e magazzini. Dal cielo in una stanza ai computer nelle nuvole, nessun singolo computer si può considerare come un’isola. Infatti l’utilizzo comune di software Saas scinde la localizzazione del macchinario informatico di un’azienda dalle risorse telematiche. L’azienda non è più “lì” ma “altrove”, in un limbo, in una nuvola priva di una collocazione geografica specifica. La nuvola entra ed esce dall’azienda e dai suoi computer. E’ la smaterializzazione dell’informatica e la rarefazione delle sue invasive apparecchiature. Le pile di schede, tower, dvd e hard disk sono già fossili di una nuova preistoria tecnologica.
Ma il punto di domanda si sposta più avanti. La nuvola bianca può tramutarsi anche in una nuvola grigia, spesso plumbea. Come sopravvivere se i fornitori chiudono i battenti? Vedi alla voce interoperabilità, anche se il Manifesto è ancora tra le nuvole e le nebbie. C’è di più: come tutelare il totem della privacy quando la nuvola impone un tabù sulla privacy in cambio di bassi costi? Quando sorge un contenzioso intorno ad un documento su Google Docs o ad una foto su Flickr, finora l’esito più ottimistico è l’anarchia, mentre quello più pessimistico è l’arbitrio di chi controlla i server.
E’ anche una questione politica, perché l’utente della nuvola delega la sua autonomia e la sua proprietà a compagnie private che impongono il loro software come un aut-aut ed espongono al rischio di espropriazione in caso di guasti tecnici o conflitti di proprietà. La nuvola può diventare una gabbia. Ma la nuvola diventa nera anche quando conduce all’imposizione di un software unico, come un pensiero unico e un modo unico di vivere e lavorare, con scarse possibilità per personalizzazione e adattamento a produzioni flessibili o basate sull’alta qualità. La nuvola è solo un’Ikea del web dove assemblare un’azienda con pezzi standard forniti online? D’altronde questa è la filosofia di Unix: ogni singola componente si specializza su un determinato compito appoggiandosi ad un’infrastruttura comune.
In questo finale provvisorio di partita, è la nuvola stessa ad assumere la forma di un punto interrogativo. Il cloud computing è il divorzio cartesiano tra materia e pensiero, tra hardware e software. Per ora l’incognita è un aggettivo, quello decisivo: aperta o chiusa? La nuvola può annerirsi in un business che impone software proprietari a pagamento. Altrimenti può aprirsi allo sviluppo, dove basso non vuol dire solo il costo ma anche il piano della partecipazione di massa. Infatti il Manifesto del 31 marzo invoca una nuvola aperta, anche se finora è solo un’astrazione che rischiava di ridursi ad un pesce d’aprile – infatti un pesce non può volare tra le “nuvole”. Intanto il cloud computing avanza nel cielo sopra alla rete. Ma cimentarsi in previsioni meteorologiche resta un azzardo.
GABRIELE CAZZULINI