Il génie malin dell’individualismo

Genius loci e sregolatezza VII

di Piero Trupia

Il presidente e Amministratore unico dallo sfuggente sorriso è perentorio […]La manifattura è lenta e noi qui siamo celeri. Intercettiamo il valore generato altrove – non sappiamo dove e come – e lo moltiplichiamo per dieci, cento, mille. Solo i simboli della ricchezza producono vera ricchezza

Personal Flashforward, Episodio N° 12 da Le Aziende In-Visibili, Romanzo a colori di Marco Minghetti & The Living Mutants Society. Con 190 immagini Di Luigi Serafini Libri Scheiwiller, 2008.

 

Il sistema della produzione italiana di genius loci non ha alcuna responsabilità nella presente crisi mondiale. Non ne hanno nemmeno i governi di opposto segno del nostro paese che si sono succeduti negli ultimi tre decenni. Anche le nostre banche hanno partecipato solo marginalmente alla follia della finanza creativa e della new economy. Questa la rabbia dei nostri produttori. Ci hanno messo in mezzo, dicono. Solo un limitato rigurgito però contro la globalizzazione. Sono nella grande maggioranza esportatori e sanno di aver bisogno del mercato globale, quello delle merci e non quello della grande truffa del mercato dei titoli e dei ‘prodotti’ finanziari derivati e strutturati. In queste settimane ho incontrato gli artigiani e i piccoli industriali della Brianza, della Valle dell’Esìno e del Misa e del settore dell’arredamento. Non sono furiosi. Sono sconcertati sull’accaduto e perplessi sul da fare. Quando gli racconto che tutto nasce dai mutui americani, quando gli spiego i subprime e il meccanismo perverso dei prodotti strutturati, allargano le braccia sconsolati. Ma come, noi abbiamo un timore reverenziale per il direttore della nostra piccola banca popolare, per il direttore dell’ufficio postale sulla piazza del paese che ci consigliava i nuovi prodotti finanziari ad alto rendimento e sicuri e ora ci venite a dire che le oneste cartolarizzazioni dei mutui fondiari si sono trasformate in titoli tossici che impediscono alle nostre banche di darci il credito ordinario. Ma dov’erano quelle grandi istituzioni, la FED, l’FMI, la Banca mondiale, il WTO, la nostra Banca d’Italia, le agenzie di rating che davano le tre A a Tanzi, a Goldman Sachs, a Citigroup, a Merril Lynch? Così ciechi, così incompetenti, così cointeressati da chiudere gli occhi su quell’alta finanza dei premi Nobel dell’economia che altro non era che la vecchia catena di Sant’Antonio?

 

Per tirargli su il morale gli dico che la nostra impresa minore, per dimensione non per qualità, non è provinciale, arretrata, premoderna, familistica come anche i nostri economisti e sociologi, tranne De Rita, asserivano, cantando gioiosamente nel coro. Le nostre sono imprese vere, sane che producono beni reali e non credono alle sirene della società liquida e finanziarizzata, nella quale tutti possono arricchirsi. Riprendono animo per un momento, ma ben presto si ricordano che la banca ha chiuso il rubinetto e che non sanno come pagare gli operai che non vogliono né licenziare né mettere in cassa integrazione; che il fisco non dà tregua e che i clienti non li pagano perché la Pubblica Amministrazione che riforniscono è in ritardo di due anni con i pagamenti perché hanno tagliato i fondi. Si sentono piccoli, frustrati e impotenti. Gli dico, allora, che questa loro minorità è in parte voluta. È il risvolto negativo del loro splendido e prezioso individualismo.

Chiedo ai brianzoli e ai marchigiani quanti di loro sono iscritti alle associazioni di settore. Pochissimi. Chiedo agli associati di FederlegnoArredo quale percentuale rappresentano del settore: il 3%. Chi non si associa, dice che non ha tempo e pensa, senza dirlo, che sono soldi buttati. Ecco! C’è il genius loci e c’è il génie malin di Cartesio. Quello dell’isolazionismo, dell’olio di gomito e niente chiacchiere, del “tanto è inutile, associazione o no non cambia niente”, meglio avere la giusta maniglia sottomano. Non è così, gli dico. I problemi del nostro sistema produttivo sono politici e vanno affrontati politicamente. Militando in un partito? facendosi amico il deputato? No, si resterebbe subalterni, portatori d’acqua, donatori di sangue. La forza politica dei produttori non è diversa da quella degli operai e si chiama associazionismo. La crisi allora può essere la buona occasione, se questa idea riesce a passare. La soluzione delle presenti difficoltà passa attraverso il superamento della rassegnazione, dell’assenteismo, del qualunquismo.