di Gian Paolo Serino
Friction di Joe Stretch può diventare l’Arancia meccanica del XXI secolo. Una scrittura elettrica, scosse narrative da amplificazione distorta, come se Philip Glass avesse incontrato sul palco Sid Vicious, Friction racconta di un futuro tanto lontano quanto presente, in cui la ricerca edonistica è diventata voce interiore di un’alienazione da far impallidire la generazione chimica di Trainspotting. Strech – nato nel 1982 proprio a Manchester, frontman della band elettro pop (We are) Performance, attore di performance cliccatissime su You Tube – ha il talento per far dimenticare l’ombra vagante di Irvine Welsh.
Caustico e grottesco, racconta di una generazione non più affogata nella noia doppio malto di improbabili pub (neon)realisti ma completamente divorata dallo shopping compulsivo e dal sesso estremo. Il problema vero è che tra queste pagine il post-moderno si frantuma contro il vetro della carta. Lascia un graffio di inchiostro indelebile nella nuova narrativa, non solo inglese. Friction è un attrito a quel giro di giostra sulla ruota da criceti dei nostri autori “italian new epic”. Ci regala una lezione di stile e violenza, passione e vita da ridurre al comico i nostri ormai davvero troppi “evangelisti” porta a porta.
Joe Stretch
Friction
Feltrinelli