Sempre più frequentemente, sia in contesti accademici che industriali, si parla di “open innovation” e di “innovation networks”, ossia della crescente tendenza delle imprese a creare un sistema di relazioni con l’esterno per scambiare e/o condividere tecnologie e competenze al fine di sviluppare innovazione tecnologica. La letteratura accademica e la pratica delle imprese hanno messo in luce quali sono i potenziali vantaggi e, al tempo stesso, quali i potenziali rischi connessi alla “apertura” dei processi di innovazione delle imprese.
Molti studiosi sottolineano decisamente che i “pro”, per le piccole e medie imprese (PMI), diventano ancor più rilevanti che per le grandi. Si afferma spesso, infatti, che le imprese piccole hanno poche risorse e che, di conseguenza, “accedere a fonti esterne di competenze e tecnologie”, “condividere costi e rischi”, “ridurre i tempi dell’innovazione” diventano opportunità particolarmente interessanti da sfruttare attraverso collaborazioni di natura tecnologica. Più raramente ci si sofferma invece a considerare il fatto che, per i piccoli, anche i “contro” diventano drammaticamente più significativi che per le grandi imprese. Si pensi, per esempio, a quanto sia difficile proteggersi rispetto ai rischi di diffusione incontrollata di know-how in contesti in cui la proprietà industriale e intellettuale spesso non è (non può essere?) adeguatamente tutelata; o, ancora, quanto sia complesso proteggersi rispetto a comportamenti opportunistici dei partner, laddove il ricorso a legali per la definizione dei contratti e per la risoluzione di eventuali contenziosi rappresentano insopportabili perdite di tempo e denaro; o, da ultimo, come sia oneroso gestire le complessità inevitabilmente connesse alle collaborazioni tecnologiche, per imprese il cui quotidiano già impegna e satura le risorse disponibili. Vediamo in breve questi “pro” e “contro”:
Pro:
– ampliare la base di competenze dell’impresa
– integrare competenze facenti capo ad aree e discipline eterogenee
– aumentare la flessibilità dell’organizzazione interna per l’innovazione
– stimolare la creatività e la capacità di generare nuove idee
– ridurre o condividere i rischi associati alle attività innovative
– ridurre o condividere i costi del processo di innovazione
– contenere il time-to-market di nuovi prodotti e servizi
Contro:
– perdita di controllo su know how
– complessità organizzativa e gestionale
– perdita di controllo sui risultati della collaborazione
– spill over
– impoverimento di competenze
– comportamenti opportunistici dei partner
– competenze dei partner inadeguate
Al fine di riflettere su quali siano le condizioni che consentono anche alle piccole e medie imprese di sfruttare i pro, limitando l’effetto dei contro, Uni.TIS – Unità di studi su Tecnologia, Innovazione e Sostenibilità dell’Università Carlo Cattaneo – LIUC (www.liuc.it/unitis) ha analizzato il caso della Scandura & FEM S.r.l. (di seguito, semplicemente, Scandura), una piccola impresa che opera come fornitore di sistemi e servizi per la taratura della strumentazione industriale di misura. Il caso offre alcuni interessanti spunti di riflessione, mettendo chiaramente in luce alcuni fattori di successo e di fallimento del modello di innovazione aperta.
Il caso conferma che organizzare e gestire un network di attori al fine di sviluppare innovazione tecnologica è assai complesso. Scandura si è scontrata con alcuni dei “contro” dell’”open innovation”. In particolare con la complessità organizzativa e gestionale del network, con le inadeguate competenze dei partner e con il problema di dover proteggere attentamente il know how sulla taratura di pressione, assolutamente strategico per Scandura. Proprio questi “contro” sono stati talmente significativi da aver costretto l’impresa alla chiusura del network di collaborazioni tecnologiche che, in oltre 2 anni di lavoro, non aveva ottenuto i risultati previsti, in termini di prestazioni del nuovo calibratore, un nuovo prodotto che l’impresa stava sviluppando.
Queste considerazioni suggeriscono la necessità, per condurre un “network of innovation” al successo, di impostare un processo attraverso il quale:
– si analizzano in maniera dettagliata e precisa gli obiettivi e i rischi del network, si valutano e selezionano attentamente i potenziali partner, si studiano le caratteristiche dell’innovazione sulla quale ci si vuole aprire verso l’esterno;
– si identificano le forme organizzative e i contratti più adeguati per sancire le collaborazioni con tutti i partner del network, coerentemente con gli obiettivi del network, con le caratteristiche dei partner e con la tipologia di innovazione;
– si pianificano le attività del network, in termini di: aspetti economici e finanziari, qualità, quantità e organizzazione delle risorse umane coinvolte, utilizzo di tecnologie, divisione del lavoro tra i partner, gestione dei flussi informativi, organizzazione e gestione dei flussi fisici di componenti e semilavorati;
– si gestiscono le attività del network, attraverso tecniche e sistemi gestionali coerenti con gli obiettivi del network e con le caratteristiche del prodotto innovativo;
– si effettua il monitoraggio e controllo del funzionamento del network nel suo insieme e dei singoli partner, indispensabile per verificare che vengano rispettate le “regole del gioco” negoziate con i partner e per identificare le necessarie azioni correttive.
Il successo del secondo network costituito da Scandura per supportare lo sviluppo del nuovo calibratore multifunzione certamente rappresenta un caso in cui tutte le fasi sopra descritte sono state affrontare in maniera adeguata. In particolare, fondamentale è stato il miglioramento che Scandura ha apportato al processo di analisi delle competenze e quindi dei partner. Ciò ha “sbloccato” in un certo qual modo il network consentendo di assegnare gli opportuni contenuti ai partner. La pianificazione delle attività e i flussi informativi hanno cominciato a funzionare in modo virtuoso, grazie ad un insieme di “tattiche”, che, pur essendo state pensate anche nel caso del primo network, erano rimaste a quel tempo necessariamente delle “regole vuote”:
– ad ogni partner è stato assegnato un output preciso, le cui caratteristiche funzionali sono state definite in maniera quantitativa, oggettiva, misurabile;
– l’output di ogni partner è stato suddiviso in diverse fasi, ognuna delle quali verificata congiuntamente agli altri output prima del passaggio a quella successiva. il tutto, coerentemente con gli obiettivi di funzionalità assegnati;
– i contratti che determinano i rapporti dei diversi partner con Scandura sono stati assai precisi e dettagliati, comprensivi di tutte le informazioni quantitative relative alle funzionalità degli output forniti da ciascun partner;
– è stato chiaramente definito il ruolo di ciascun partner del network e, in particolare, il ruolo di centro coordinatore svolto da Scandura.
Il modello della open innovation per i piccoli allora funziona davvero? Crediamo si debba rispondere: non sempre e, soprattutto, solo con una grande attenzione alla gestione dell’intero processo di collaborazione e con qualche accortezza “tattica”, da non trascurare.
Emanuele Pizzurno