Pino Varchetta su: Il treno per Darjeeling (regia di Wes Anderson)
Muore un padre e la famiglia entra in quello che Freud ha definito il vero lutto per le donne e per gli uomini. Questa è una famiglia è sfaldata da tempo, non si sa per quali motivi; per molti aspetti non si sa neppure dove di preciso questa famiglia abbia vissuto e viva oggi. Si ipotizza l’America del Nord, ma senza fondate certezze. Quello che è certo è un frammento di amore che sembra rinascere, a un anno di distanza dalla morte del padre, tra i tre figli, tra i tre fratelli (interpretati da Wilson e Schwartzman, già presenze stabili nella ditta di Wes Anderson, e dal nuovo arrivato Adrien Brody, quello de Il pianista).
decisione è quella di un viaggio, ovviamente un viaggio spirituale, ovviamente nel più spirituale dei luoghi di questo nostro mondo, l’India, ovviamente sul Darjeeling Limited, una sorta di città ferroviaria, un contenitore mistico all’interno del quale si svolge praticamente tutta la storia. Il treno, il Darjeeling Limited, viene preso quasi sempre al volo, dopo corse affannose che decimano i copiosi bagagli, viene abbandonato per soste tanto inattese quanto deflagranti per sorprese e incontri e viene infine malinconicamente licenziato per un obbligato ritorno a casa. I tre fratelli cercano di recuperare se stessi e il loro rapporto, ponendosi l’obbligo di un viaggio spirituale alla ricerca di una madre, Anjelica Huston, ambigua missionaria alle falde dell’Himalaya in un misterioso convento, appollaiato sopra uno dei più bei paesaggi di questa nostra terra.
La città ferroviaria assiste indifferente allo svolgersi della matassa relazionale tra i tre, nei loro tentativi grotteschi e, in fondo, mai sinceri, di ritrovarsi e di ritrovare la madre. Tutto sembra provvisorio sul Darjeeling Limited, riflettendo la cronica provvisorietà del rapporto tra i tre; tutto sembra rompersi, arrestarsi inesorabilmente sul Darjeeling Limited, nell’incapacità di portare a termine il viaggio di fronte ad apparentemente insormontabili ostacoli che l’India profonda pone continuamente sulle rotaie, contingenze che riflettono le crisi continue del rapporto tra i tre, i tradimenti, le insopportabili autoreferenzialità. Ma inaspettatamente si giunge in porto, si arriva al convento dove vive la madre, apparentemente felice e soddisfatta e del tutto resistente all’idea dei figli, i tre fratelli, di riprendersela e riportarla a casa. Non c’è casa, se non lì, dove si vive, dove si riesce a sopravvivere. Non c’è casa se non dentro di noi, nel ritrovarsi in questa India arcaica, del tutto spirituale.
L’autore de I Tenenbaum segue con affetto autoreferenziale i suoi tre fratelli dentro un’atmosfera che è anticipata da uno straordinario cortometraggio prologo, Hotel Chevalier, interpretato da uno dei tre fratelli, lo Schwartzman, e da una straordinaria giovane attrice, Natalie Portman; la realtà si costruisce vivendola e ciò che si anticipa nella stanza del lussuoso albergo di Parigi, si riflette nella città ferroviaria, nel lungo viaggio dei tre fratelli alla ricerca della madre. Ognuno di noi è uno e insieme due e tre e quei tre su quel treno, accompagnati dal loro regista, ricostruiscono e decostruiscono continuamente la loro identità, in un’affannosa ricerca che, alla conclusione, li porterà davanti al volto ridente e ambiguo di una madre, che ha saputo arretrare, lasciando i figli liberi, resistendo alle loro crisi e, da lontano, pur silenziosamente, guidandoli nei loro tentativi di ricostruzione. In tutto questo una seconda volta genitrice e, insieme, madre e padre.
Per il trailer del fil clicca
qui.
Postato dalla personalità mutante di: Pino Varchetta