E’ ormai noto come Jung derivi la questione dell’ombra in misura notevole dalla riflessione su Nietzsche[1], del quale si ricorderanno almeno due testi rilevanti: Il viandante e la sua ombra, in Umano, troppo umano, e L’ombra, in Così parlò Zarathustra. E’ soprattutto il primo, lungo e complesso, che influenza Jung («Quell’ombra che tutte le cose mostrano quando il sole della conoscenza cade su di esse, — anche quell’ombra sono io»[2]), ma è forse nel secondo, breve e incisivo, che si trova l’essenziale; l’ombra è qui divenuta il viandante stesso: un errante sempre in cammino «senza posa, portato via dal vortice dei venti».
Quello scorrere tranquillo nella penombra verso l’ombra diventa qui ricerca senza esito di stabilità e identità: «Questo cercare la mia casa: Zarathustra, lo sai bene, questo cercare era la mia tentazione, e ciò mi consuma. “Dov’è la mia casa?”. Così chiedo e cerco e cercavo, e non ho trovato. O eterno essere dappertutto, o eterno essere in nessun luogo, o eterna — inanità del tutto!»[3].
L’ombra diventa segno di un’origine non recuperabile. Quel ritorno che ancora era inscritto nel segno della possibilità o della dialettica smarrimento-recupero proprio dei grandi romantici si frantuma definitivamente: «Tu hai perduto la meta — risponde Zarathustra — ahimè, come potrai perdere questa perdita, come potrai consolartene? Ma con ciò — hai perduto anche la via!»[4].
12. continua
[1] cfr. M. Pezzella-F. Salza-D. Squilloni-G. Concato (con un saggio di J. Hillman), Lo spirito e l’ombra. I seminari di Jung su Nietzsche, Bergamo, 1996 (anche se in realtà tratta molto più dello spirito che dell’ombra).
[2] Il viandante e la sua ombra, in Umano, troppo umano. II. Frammenti postumi (1878-1879), Opere, a cura di G.Colli e M.Montinari, vol.IV/3, Adelphi, Milano, 1967, p. 134.
[3] Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno, in Opere, cit., vol. VI/1, p.333.
[4] ibidem