Per la serie Conversazioni sul Carisma Elisabetta Pasini intervista Enrico Mentana. Mentana (Milano, 1955) comincia la sua carriera di giornalista come direttore di Giovane Sinistra, la rivista della federazione giovanile socialista di cui è stato vicesegretario nazionale alla fine degli anni ’70. Entra in Rai presso la redazione esteri del TG1 nel 1980 e diviene in breve capo dei servizi e poi vicedirettore del TG2. Nel 1991 passa a Mediaset (allora Fininvest), dove gli viene affidata la direzione e il varo del nuovo telegiornale di Canale 5, di cui rimarrà direttore per tredici anni, fino al novembre 2004. Dal settembre 2005 conduce su Canale 5 il programma di approfondimento Matrix; in Mediaset ricopre attualmente l’incarico di Direttore Editoriale.
N. Dato che sei un professionista dell’intervista, vado diretto al punto: potresti darmi una tua definizione generale di carisma?
EM. Bisogna intendersi sull’idea di carisma, concetto abbastanza aleatorio, che spesso solletica la prosopopea e il narcisismo dei singoli. Diciamo che, più pragmaticamente, chi guida un gruppo (in televisione, in teatro, nell’opinione pubblica, ma anche in altri settori), chi è quindi in relazione con un gruppo, un pubblico, deve avere le qualità per costituire un polo d’attrazione, e queste qualità sono a volte motivate dai fatti ma a volte anche fondate su dati irrazionali. In più nel caso del giornalismo e di altre attività di tipo collettivo c’è un duplice tipo di relazione, con l’audience e con il gruppo di lavoro. Bisogna avere le capacità di coinvolgere ed essere riconosciuti come “caposquadra”: questo si raggiunge se si ha una buona capacità di aggregazione e un buon progetto, e se si ha la capacità per onestà e per piglio di riscuotere fiducia. Tutto questo lo si ottiene sul campo, non lo si può ottenere con la simpatia o con lo spirito, lo si conquista con le prove concrete di quello che si fa, si vuole e si può fare; è quindi capacità di coinvolgimento, ma anche capacità e velocità decisionale, apertura, l’equivalente di quello che fanno i grandi chef con la cucina a vista, richiede trasparenza, motivazione e capacità.
FN. Tu che intervisti tanti politici, riscontri in loro queste capacità?
EM. Ci sono dei politici che hanno capacità di leadership, di coinvolgimento, ci sono invece dei politici che sono alacri, dei professionisti: sono due cose diverse. La leadership è la capacità di attrarre l’attenzione e il consenso sul personaggio e non solo sulle idee, altra cosa dalla capacità professionistica di essere un buon politico. Veltroni è un leader, Fassino un professionista, uno possiede carisma, l’altro con ogni probabilità no. Si possono fare tanti esempi, bisogna comunque dimostrare di avere una capacità di aggregazione legata alla persona più che al progetto, che è diversa dalla capacità di aggregazione data da un lavoro alacre su un progetto. Un altro esempio: la Lega ha un leader che è il polo assoluto di riferimento, e quasi tutti i leader carismatici di un movimento ne sono anche i fondatori che portano su di sé le stimmate del consenso e dell’aggregazione, perché tutto viene ricondotto al fatto che l’idea l’ha avuta lui ed è a lui che si fa riferimento. Ora, è ovvio che chi fonda un movimento è una figura a suo modo aggregatrice, o assume quelle caratteristiche. Di Pietro, Bossi, Berlusconi, Bertinotti, sono tutte figure carismatiche; Giordano invece, l’attuale leader di Rifondazione, è visto come un professionista, un manager che porta avanti l’opera del fondatore, come nelle aziende in cui il manager razionalizza l’idea del fondatore, così come può capitare per chi prendesse il posto di Berlusconi.
Postato dalla personalità mutante di: Elisabetta Pasini