"- E che fine fa allora il genius loci?
– I luoghi contano perché ognuno è un insieme unico di esperienze, competenze, linguaggi, legami, prospettive condivise, capitale sociale. E’ la dipendenza da questo contesto che rende una regione, ed una azienda o Divisione della Corporation in quella regione, più o meno creativogenica, più o meno ricca di un suo particolare tipo di creatività. Dopodichè ogni centro creativo deve entrare in connessione con gli altri, condividendo la propria specifica conoscenza e ibridandosi. La Corporation guadagna così la propria consistenza dal duplice orizzonte di passato e di futuro all’interno del quale si colloca. Un orizzonte vero, perché mobile."
Le Aziende In-Visibili, Episodio 35
Non conosco altro popolo che, come quello italiano, sia altrettanto disamorato del proprio paese. Può essere un buon segno. Che non c’è ottuso sciovinismo e che sulla necessità di un miglioramento non può esserci discussione.
Intanto, si criticano aspramente le istituzioni pubbliche e il personale politico e amministrativo che le occupa. Ma non è irritante, del resto, lo sciovinismo dei francesi, insopportabile l’imperialismo mentale britannico, stupida la supponenza egemonica americana, preoccupante lo status di popolo eletto che gli ebrei si riconoscono e quello strapaesano del dio Po dei padani iscritti alla Lega?
Ma è proprio necessario per gli italiani essere così negativi con il proprio paese?
Negativismo diretto, quello del mugugno e della critica, e indiretto, quello del “si, però…”. Non condivido né l’uno né l’altro e ai concittadini ricordo alcuni fatti.
Che il mondo viene a cercare in Italia storia, bellezza e qualità della vita e se ne procura un assaggio anche a casa propria, acquistando a caro prezzo il made in Italy, incuranti della quotazione dell’euro. Che il nostro paese cresce ininterrottamente da sessanta anni e se oggi segna il passo, è per via degli effetti collaterali di una globalizzazione scriteriata e della frode organizzata a scala globale di un paio di migliaia di individui abitanti altrove.
Ciò malgrado, non siamo nell’occhio del ciclone. Per le virtù del nostro popolo risparmiatore e per il sano snobismo degli investitori verso il glamour fasullo della nuova finanza (qualcuno c’è cascato, ma la maggioranza ha preferito i buoni del tesoro, il libretto postale e l’autofinanziamento).
Reggiamo sulla frontiera dell’export e siamo innovativi a modo nostro. “Si, però…” è la replica. “Non può durare, prima o poi i nodi verranno al pettine, anzi ci siamo già”. La ricerca, lo sviluppo tecnologico, gli investimenti, la fuga dei cervelli, la persistenza al potere di quelli decotti, le battute dei governanti sulle tragedie nazionali e gli scherzi goliardici in sede internazionale, le infrastrutture, il nanismo imprenditoriale, la Salerno Reggio Calabria, mafia, ‘ndrangheta e sacra corona unita. Osservo, allora, che secondo Agostino, il filosofo e Gödel, il matematico non possono esistere sistemi perfetti e che quindi saggezza vuole di non abbattersi e di non adattarsi, coltivando, invece, il sogno del miglioramento possibile. Non quello continuo dei giapponesi per migliorare il già perfetto. Il perfettissimo non vale neanche per Dio; ‘perfetto’ come ‘tutto’non ammettono superlativo, né assoluto né relativo. Miglioramento, invece, nel senso di aggiustare una cosa qua, mettere una pezza là, senza dimenticare le eccellenze del nostro paese. Un solo esempio: la scuola materna modello Reggio Emilia diffusa in tutto il mondo e studiata da tutti gli addetti al settore.
Non è l’unico caso. In Italia l’eccellenza è diffusa e diversificata. C’è quella spontanea e capillare della cucina, al vertice mondiale della gastronomia e della dietetica, e c’è quella organizzata delle quattro A: Agroalimentare, Abbigliamento, Arredamento, Automazione. Queste quattro A esportano in tutto il mondo, sostengono la bilancia commerciale e l’immagine dell’Italia. Propongo ora, in piena crisi, la quinta A, l’accoglienza, il nuovo modo di dire turismo. Ne parleremo.
Piero Trupia