The Blog Up! Passato, presente e futuro del Blog

Blog upQuel che resta di un blog

Nel 1998 pubblicai un racconto dal titolo La caccia di Arthur Cab sul sito letterario Bookcafè. Ricordo che mi diede una certa soddisfazione perchè entrò nella Top Ten dei racconti consigliati dalla redazione. Qualche tempo dopo aprii un blog su Splinder ed ebbi l’idea di fare evolvere il racconto in un Blogromance, ovvero un romanzo multimediale i cui capitoli erano sostituiti da post, arricchiti da una nutrita serie di rimandi ipertestuali, musicali, iconografici. Ci lavorai per molto tempo, ma con la chiusura di Splinder nel 2011 persi tutto, anche perchè non ebbi il tempo e la costanza di portare avanti l’idea di un “doppleganger” del Blogromance su Iobloggo, cui avevo cominciato a dare vita nel 2004. Anche l’archivio del 1998 di Bookcafè non è più disponibile in Rete.

Così oggi rimangano labili tracce di quel lavoro nella labirintica memoria della Rete: ad esempio un riferimento su I Minotauri del 20007 che dice: “http://www.arthurcab.splinder.com/: si tratta di un esperimento assolutamente innovativo, ovvero di un un blogromance.Viene proposto un romanzo che è lo sviluppo di un racconto intitolato “La caccia di Arthur”, pubblicato su un sito qualche anno fa. Ma la novità è che ogni capitolo del romanzo deve essere letto dalla fine all’inizio, in quanto è composto da vari post, che come sappiamo vengono ordinati nei blog dal più recente al più vecchio”.

Copia di Blogger Ghost – BlogItaliaOppure la sintesi di Blogger Ghost con i significativi tag associati al blog: “letteratura, romanzo, melville, carroll, chandler, mussorgsky, escher, marlowe, moby dick, shakespeare, snark, alice, achab”. O ancora qualche elemento dell'”arthurcab’s doppleganger” che dà in qualche modo l’idea dell’epica impresa in cui mi ero cimentato.

Eppure oggi mi rendo conto che lì stavano i germi di molte cose che avrei fatto in seguito. Dalla lettura appassionata di Shakespeare sono scaturite le esperienze di Hamlet e L’Impresa shakespeariana; il reiterato ascolto delle Variazioni di Mussorskj (ovviamente anche nella celeberrima versione degli ELP) ha ispirato Le Variazioni Impermanenti  del Manifesto dello Humanistic Management; la riflessione su Lewis Carroll è divenuta centrale nel Progetto Alice Postmoderna; la pittura del Novecento come chiave di lettura della realtà quotidiana è la colonna portante dei Winter Beach Tales; ma soprattutto il Blogromance è di fatto un primordiale tentativo di realizzare quell’opera multimediale che è diventata poi Le Aziende InVisibili (con il suo seguito La Mente InVisibile).

The Blog Up

Tutto questo mi è riaffiorato alla mente leggendo lo splendido saggio di Elisabetta Locatelli, The Blog up. Storia sociale del blog in Italia, appena edito da Franco Angeli. Il volume è dedicato al blog in Italia e ai blogger italiani di cui riscostruisce la storia sociale, tracciando un percorso che si snoda dall’inizio degli anni Duemila e si proietta verso il futuro. Un libro scritto con passione, ricco di un’incredibile dovizia di informazioni e dettagli, che si legge come se fosse un romanzo. Anzi, un Blogromance.

Ma, come dicevamo, la storia del blog non è finita. Alcune fenomenologie espressive che sono state proprie del blog oggi trovano spazio su altre piattaforme (si pensi alla dimensione diaristica di Facebook o alla forma conversazionale di una piattaforma di micro-blogging come Twitter). Cosa è morto, quindi, del blog e cosa invece è diventato il blog? Ne parliamo con l’Autrice.

MM: Nicoletta Vittadini inizia la sua Introduzione al tuo libro ponendosi queste domande:  “Qual è lo statuto comunicativo di un blog? Diario, testata giornalistica, bacheca aziendale, magazine tematico sul cibo o la moda? E chi è il blogger? Un esperto, uno scrittore, un abile aggregatore (di news, citazioni, immagini), un comunicatore di professione, un politico? E ancora potremmo chiederci come possiamo raccontare la blogosfera e le connessioni tra i vari blog/blogger con i media o i social network?” Le risposte naturalmente si trovano nella lettura completa del libro. Vuoi però provare a darci sinteticamente la tua opinione?

EL: Iniziamo con una domanda impegnativa! Capire cosa fosse un blog, non solo dal punto di vista tecnico ma anche sociale, culturale e comunicativo è stata la domanda che mi ha spinto a costruire il mio progetto di ricerca e poi a raccontarlo nel libro. Provo a riassumere le principali conclusioni a cui sono giunta evidenziando alcune caratteristiche che diverse tipologie di blog hanno in comune. In primo luogo il blog che sia personale, diaristico, professionale o aziendale, viene aperto con un certo scopo e ha una propria identità e coerenza editoriale, che naturalmente può variare nel tempo. È quindi un luogo in cui c’è una figura di autore (singolare o collettiva) forte e precisa, in una parola identificabile. Ma non solo: un blog è un luogo attorno a cui costruire relazioni sociali, ora magari espanse nel circuito dei social network. Questo legame consente di costruire un rapporto di fiducia con chi scrive e costituisce il valore aggiunto più importante del blog rispetto ad altre forme editoriali presenti in rete. Nel 2003 Eloisa di Rocco, una delle prime blogger italiane, scriveva così nel suo libro “Dietro a un blog c’è la vita delle persone. È questo che interessa a tutti”. Credo che questa affermazione riassuma bene l’essenza del blog stesso, anche quando parliamo di tipologie di blog diverse da quello strettamente personale o diaristico.

A fronte di queste costanti, il blog rimane uno strumento duttile che può essere impiegato in ambiti completamente diversi con finalità opposte. In funzione dell’impiego si definiscono quindi lo statuto specifico del blog e del blogger, nonché le sue relazioni con i social network che sono ormai una linfa vitale che lo alimentano. Se non si commenta più, per esempio, sul blog, lo si fa su Facebook o su Twitter. I social network hanno, inoltre, un ruolo centrale nella diffusione dei contenuti e nella costruzione delle relazioni sociali del blogger. Infine, i media hanno intuito l’enorme potenziale comunicativo dei blog tanto da integrarli nella propria offerta, come hanno fatto numerose testate online, e non si può dimenticare che sono numerosi i casi in cui i blog vengono utilizzati come fonte di informazione.

MM:Uno dei temi fra i più discussi in Rete è toccato anche nel tuo libro, ovvero: la blogsfera italiana è veramente così provinciale, ristretta, chiusa, “autoreferenziale”, per usare l’elegante aggettivo da te utilizzato, come molti (quorum ego: vedi ad esempio la mia Nota di un paio di anni fa dal titolo La Lobby degli influencer) sostengono?

EL: Si tratta di un tema storico nella blogosfera italiana ma vorrei fare alcune precisazioni. In primo luogo io utilizzo il termine nella sua accezione etimologica e, per quanto possibile, neutra, ovvero facendo riferimento ai contenuti dei blog che si riferiscono alla blogosfera stessa. In secondo luogo è un argomento che è emerso fin dall’inizio della mia ricerca sia leggendo i blog sia intervistando i blogger. Questo vuol dire in primo luogo che i blogger hanno riflettuto sin dall’inizio su se stessi: capivano che il loro status e quello dei blog era diverso e hanno cercato di comprenderlo discutendone in pubblico. Le stesse discussioni sullo status dei cosiddetti influencer appartengono a questa costante autoriflessività (ricordo a proposito dei thread molto vivaci su FriendFeed). Certo non si può negare che esista anche un rovescio della medaglia nella misura in cui il circuito si restringe e si diventa autoreferenziali nel senso di provinciali, secondo quella tendenza narcisistica che, per esempio, un teorico critico della rete come Geert Lovink sostiene. Pur non negando che sia un fenomeno esistente e che spesso i blogger si leggano e commentino fra loro, non mi sento si sposare completamente questa posizione. Nella blogosfera, per esempio, esiste il contraddittorio e non è raro che nuovi soggetti vengano accolti all’interno delle cerchie consolidate. In questo senso gli incontri al di fuori della rete sono importanti per favorire l’apertura e l’ampliamento delle reti sociali. Il tema degli influencer e degli opinion leader si intreccia con questo ma è opportuno fare alcuni distinguo. Credo in primo luogo che la chiave per analizzare questo tema sia proprio quella della fiducia: il motivo per cui alcuni blogger, o utenti dei social network, spiccano su altri è il legame di autorevolezza e fiducia che sono in grado di creare con il proprio pubblico. Come metti in luce nel tuo post, e come anch’io ho provato a specificare nel libro, però, un conto è godere di una certa reputazione e un conto è avere un reale effetto di influenza sulle proprie cerchie sociali. Si tratta di fenomeni spesso assimilati ma su cui la ricerca non ha ancora trovato risposte univoche.

MM:Alcune fenomenologie espressive che sono state proprie del blog oggi trovano spazio su altre piattaforme (si pensi alla dimensione diaristica di Facebook o alla forma conversazionale di una piattaforma di microblogging come Twitter).  Per altri versi invece è “esondato”: tipico il fenomeno di WordPress che oggi è di fatto una raccolta di plugin che consentono di clonare pezzi interi dei principali social network (tanto che è nato un movimento di puristi che vorrebbe riportare WordPress alla sua vocazione originaria di piattaforma di blogging e basta). Cosa è morto, quindi, del blog e cosa invece è diventato “il blog”?

EL: Per rispondere a questa domanda riprenderei alcuni temi a cui ho fatto riferimento prima. Ciò che rimane oggi del blog è la presenza di un autore forte, di una vocazione narrativa e di una relazione con il proprio pubblico. Credo che siano morti fenomeni legati alle mode e alle tendenze del momento, come l’uso di certe piattaforme, la presenza di tanti widget e gadget in homepage, lo scambio link (anche se forse ancora qualcuno lo chiede!). In sostanza mi pare che lo statuto del blog sia diventato “essenziale” e costituisca un’ossatura modellabile in funzione delle diverse circostanze in cui viene impiegato.

MM: La tua analisi insiste molto sulla dimensione privata del blog, declinata rispetto a fattori quali l’identità, le relazioni sociali, gli elementi immaginativi legati alla tecnologia e alla rete, il rapporto fra blog e narrazione.  Ma cosa pensi del blog come strumento di comunicazione aziendale? E’ solo una forma edulcorata del modello classico di comunicazione Top Down, o può diventare un modo di espressione  di quella che io chiamo Intelligenza Collaborativa?

EL: Il libro si concentra sulla dimensione personale dei blog perché è stato il cuore della mia ricerca. Ho avuto modo però in questi anni di fare ricerca anche sui blog aziendali e credo che siano uno strumento molto potente se usati correttamente. Ovvero, se inseriti in una logica tradizionale top-down diventano sostanzialmente un sito web o un magazine aziendale, ma possono essere anche utilizzati per costruire uno spazio di relazione sociale con il proprio target di riferimento o come strumenti per rafforzare la collaborazione aziendale. Tutti gli impieghi sono idonei, l’importante è inserire il blog correttamente negli obiettivi di comunicazione che ci si è prefissi e valutare il relativo sforzo, non solo in termini economici, che si vuole riversare su di esso anche per valutarne i risultati. Costruire un progetto di intelligenza collaborativa mi sembra, infatti, un obiettivo molto ambizioso che richiede un impegno costante per essere realizzato.