Il Padrone del linguaggio nella Rete – Alice annotata 28

“It’s my own invention”: i due libri di Alice sono strutturalmente  esempi di creatività che anticipano la sensibilità contemporanea (cfr.

Immagini e Conversazioni – Alice annotata 1,

Wonderland e il genius loci della creatività – Alice annotata 26,

Il genere dei capolavori è il mash up? – Alice annotata 27).

Se passiamo poi ai contenuti è veramente sorprendente scoprire quante analogie si possono individuare fra le bizzarre poesie e canzoni di cui sono costellate le avventure di Alice (che anche per questo sono continuamente al centro di riadattamenti in formato musical) e le modalità con cui si fa satira in Internet.

Qui, scrive Pierre Lévy, “ognuno di noi è una voce diversa, ma possiamo comporre la nostra canzone in modo tale che si mescoli alle altre in maniera armoniosa. Il gioco dell’intelligenza collettiva consiste nel riuscire a creare senza sosta nuovi tipi di armonia, sempre più capaci di comprendere il caos.” L’altra faccia della medaglia è la messa in crisi dell’ordine pre-costituito (l’Istituzione Totale, nel linguaggio dello Humanistic Management 2.0): “la cosiddetta verità è un affare di potere. Per questo ho osato dire che chi parla della verità oggettiva è un servo del capitale (cfr. su questo il post La dittatura dello Standard e il Nonsenso di Alice – Alice Annotata 17b, ma anche la serie dedicata alla critica del cosiddetto “nuovo realismo”:

I nostalgici del pensiero forte – Alice annotata 22b,

Amleto e la verità dei fatti – Alice annotata 22c,

La misura dei fatti – Alice annotata 23,

La sincerità di Alice e il realismo di Robinson – Alice annotata 24).

Devo sempre domandare “chi lo dice”, e non fidarmi della “informazione” sia essa giornalistico-televisiva o anche “clandestina”, sia essa “scientifica” (non c’è mai La scienza, ci sono Le scienze, e gli scienziati, che alle volte hanno interessi in gioco). Ma allora, di chi mi fiderò? Per poter vivere decentemente al mondo devo cercare di costruire una rete di “compagni” – sì, lo dico senza pudore – con cui condivido progetti e ideali (cfr. Il tagging come produzione collettiva di senso- Alice annotata 21b)”[i]. Siamo sempre  ad Humpty Dumpty (cfr.

Le parole sono importanti! – Alice annotata 14a,

L’Ambiguità che favorisce la comunicazione – Alice Annotata 18a,

La società della conversazione – Alice annotata 20): salvo che in Internet Padrone del Linguaggio sono le reti sociali che ciascuno può costruire e a cui può liberamente aderire.

Facciamoci guidare in questo rapido excursus dal saggio che Richard Kelly ha scritto sulla Poesia in Wonderland[ii]. Lo studioso esordisce osservando che la maggior parte dei componimenti poetici, nei due libri di Alice, sono parodie di poesie o canzoni popolari all’epoca di Carroll. La prima in ordine di apparizione è quella dedicata al “coccodrilletto” (di cui abbiamo già parlato in  Alice la sensemaker: l’identità mutante – Alice annotata 15b), parodia della poesiola moralistica di Isaac Watts dedicata all’industriosità della piccola ape. La disamina delle successive poesie presenti in Wonderland e Attraverso lo Specchio dimostrano che quello che a noi suona solo come strampalato o “senza senso” era recepito dai contemporanei come una chiara critica a comportamenti, situazioni o valori tipici dell’età vittoriana trasmessi da componimenti moralistici assai in voga mentre Carroll scriveva.

Ecco allora che l’analogia con la capacità critica espressa in forme “poetiche” o musicali grottesche o umoristiche dal popolo della Rete salta all’occhio. Ricordiamo due esempi famosi. Il primo è quello di un Carroll contemporaneo, Dave, divenuto celebre per la sua reazione ad un incidente occorsogli mentre volava con la compagnia aerea United Airlines. Il caso è oggi molto noto poichè rappresenta una pietra miliare nella storia della gestione della reputazione aziendale e nell’affermazione dei diritti dei consumatori: grazie a Dave forse per la prima volta è apparsa in tutta la sua evidenza la centralità assunta dalla Rete in questi processi[iii]. Oggi l’importanza della gestione della reputation in Rete è sotto gli occhi di tutti ed è giunta ad un punto tale da far scrivere  agli autori del Social Business Manifesto  la tesi n. 35 in questo modo: “Reputation: è tutto qui”. Tuttavia non sarà inutile tornarci sopra, poichè, come abbiamo scritto nel post La social organization – parte seconda     ,  questa ormai diffusa consapevolezza ancora non riesce ad evitare “i casi eclatanti di fallimentari esperienze nell’utilizzo dei social media che periodicamente si impongono all’opinione pubblica (vedi quelli recenti di Costa Crociere e McDonald’s) e che sono solo la punta del vasto iceberg di iniziative sui social media condotte goffamente  e con risultati disastrosi dalle imprese (e dalle società di consulenza, per non parlare delle agenzie di advertising classico, dai nomi spesso altisonanti ma con delle competenze 2.0 reali pari a zero, cui  quasi sempre le aziende si affidano)”.

Nel marzo del 2008, il musicista canadese con la sua band, The Sons of Maxwell, viaggiava su un volo   United Airlines   da Halifax a Omaha (Nebraska) via Chicago. All’atterraggio a Chicago, seduto in fondo all’aereo, sente una donna dietro di sé che grida “Mio Dio si stanno lanciando chitarre là fuori”. La chitarra in questione era la sua, un modello Taylor dal valore di $ 3.500. Dave fa immediatamente notare l’accaduto alla hostess ma viene rimandato ad altri responsabili della compagnia aerea e, successivamente, al personale di terra dell’aeroporto di destinazione a Omaha. Dopo un mese di tentativi in cui forse la United avrebbe potuto facilmente chiudere la faccenda con le scuse e l’impegno a pagare la riparazione della chitarra (circa $ 1.200), finalmente Dave riceve una e-mail da una certa Ms. Irlweg di Chicago. Le scuse per l’accaduto ci sono ma la United nega qualsiasi responsabilità.

Dopo 9 mesi e innumerevoli e-mail con Ms. Irlweg (diventata poi a sua volta involontariamente famosa e bersagliata dai fans di Dave), anche l’ultima richiesta di Dave – $ 1.200 in buoni viaggio con la United – viene respinta. Così decide di fare quello che sa fare meglio: scrive una canzone – la prima di una trilogia sull’argomento – e la pubblica su YouTube.È il 6 luglio del 2009 e il video della canzone United Breaks Guitars è un hit immediato!

Nel giro di pochi giorni colleziona centinaia di migliaia di visualizzazioni e nel giro di un  anno  è arrivato a sfiorare i 9 milioni. La storia viene ripresa dalla       CNN, dal New York Times e da Rolling Stone. Dave viene chiamato a parlare in aziende, in università e addirittura, nel corso di un’audizione per leader politici e legislatori, al U.S. Congressional Passenger’s Bill of Rights a Washington DC.Naturalmente la United, da Chicago, dice di aver imparato la lezione grazie a Dave e al suo video. Anzi, hanno chiesto di poterlo usare come elemento di formazione interna per il proprio personale impiegato nel customer service. Rob Bradford, direttore generale delle Customer Solutions alla United, ha personalmente chiamato Dave per scusarsi. Non è chiaro invece quanti passeggeri può aver perso la United a causa della cattiva pubblicità derivante dal video di Dave Carroll, ma c’è chi ha calcolato che i danni subiti dalla Compagnia ammontano a parecchi milioni di dollari.

La satira del nostro Carroll non ha avuto certo questi effetti deflagranti, ma senza dubbio alcune composizioni presenti in Alice si proponevano lo stesso obiettivo di denunciare gli abusi di cui i cittadini non appartenenti alla casta dei potenti erano vittima. Il racconto del Topo nel capitolo terzo in questo senso è esemplare. La storia del cane Fury che trascina un Topo in un processo davanti ad un Tribunale “senza giudici e giurati” ed in cui anzi Fury stesso costituirà l’intero corpo giudicante, se da una parte  richiama alla mente echi de Il lupo e l’agnello, è inequivocabilmente un atto di accusa nei confronti delle modalità inique con cui veniva amministrata la giustizia nell’Inghilterra vittoriana (tema che poi tornerà ancora sotto altre vesti).

Alice annotata  28.  Continua

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  • Marco.Minghetti |

    Si la querelle fra tecnofeticisti e tecnopessimisti è ormai antica. Io credo che non sia tanto questione di tifare pro o contro ma di cercare di capire quali sono le nuove dinamiche comunicazionali scatenate dalla diffusione del social networking per poterle utilizzare al meglio. Detto questo, purtroppo devo anche io prendere atto che i giornalisti della carta stampata non perdono occasione per banalizzare-demonizzare-irridere i nuovi media da cui sono evidentemente terrorizzati. Non a caso lo stesso numero di La lettura da te citato si apriva con un articolo intitolato Spegnete YouTube Cinefili. Dubito che la difesa ad oltranza del vecchio possa portare a qualche risultato, se non alla scomparsa per sopraggiunta irrilevanza di coloro che si ostinano a giocare il ruolo humpty-dumptesco del “Padrone del linguaggio”.

  • Nadia Bertolani |

    Dopo la lettura di questo bellissimo articolo e degli articoli precedenti, mi rincuoro circa le potenzialità del Web. Poi, leggo l’articolo di Serena Danna sul domenicale LA LETTURA del Corriere della Sera e si riaffacciano i dubbi. Si tratta di tecno-utopismo o no? Continuerò a leggere…

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