Il Manager Vampiro

Dracula20christopher20lee Per la serie "Letteratura per i manager " Enzo Riboni presenta: Dracula di Bram Stoker

Chi mai andrebbe a lezione di business da un vampiro? Con il che non penso a una qualche metafora tipo “management vampiresco”, “organizzazione vampirizzante”, “azienda succhiasangue”. No, affatto, intendo proprio da lui (dalla sua “letterarietà”) dal vampiro personificato, dal capostipite sinistro di ogni sinistra leggenda di “non-morti”, da Dracula in persona. Perché c’è chi ci vuol proprio affidare al tenebroso personaggio creato nel 1897 dall’irlandese Bram Stoker. Si tratta del libro (da poco pubblicato da Etas) “Letteratura per manager”, il quale, oltre che le lezioni “draculiane”, propone altre 49 opere-personaggi da cui andare a studiare per “far di management” meglio di quanto si faccia oggi.

Tanto per cominciare, comunque, torniamo a Dracula, degli altri aspiranti “businessromanzi”, semmai, parleremo le prossime volte. Per scoprire che lo Stoker autore di Dracula è un grande illusionista, che fa materializzare le nostre paure in qualcosa che sembra quasi umano, un personaggio terribile e seducente nello stesso tempo, che ci fa rispecchiare in ciò che normalmente non è visibile (non a caso Dracula non si riflette negli specchi). Basterebbe questo per fare del capolavoro di Stoker un libro da leggere assolutamente, soprattutto da parte di chi gestisce denaro, cose e persone correndo spesso su un crinale rischioso ed incerto, con la paura di sbagliare e di precipitare così dall’altra parte. Non più cioè leader e capo di organizzazioni viventi, ma artefice dell’insuccesso più grosso: la bancarotta, il fallimento, il passaggio all’altrove, al regno delle imprese morte.

Una forzatura? Forse, anche se, per esperienza diretta, parlando con manager e soprattutto con molti piccoli imprenditori, è capitato a chi scrive di percepire in modo molto evidente quella paura, dove la parola “fallimento” non viene mai assolutamente pronunciata ma eventualmente solo vagamente fatta intuire e subito esorcizzata, come l’essenza indicibile di un mostro. L’orripilante, l’incredibile materializzazione del male in qualcosa che vive accanto a noi affascinandoci e ammaliandoci, viene così usato da Stoker per instillarci una totale fiducia dell’esistenza della sua antitesi, del “bene puro” che sempre lotta contro le forze nefaste della corruzione e che, alla fine, inevitabilmente trionfa, come i nostri protagonisti che infine distruggono l’indistruttibile vampiro. E’ un “bene”, quello di Stoker, che oscilla tra un bigottismo esagerato dei simboli religiosi (Dracula ha una paura folle dei crocefissi, delle ostie consacrate e dei rosari) e la pretesa di spiegare tutto, soprattutto l’inspiegabile, caratteristica del positivismo scientifico che impera quando esce il romanzo.

Un positivismo estremo che, per tornare in azienda, spesso straborda nella eccessiva fiducia nei piani programmatici, nelle proiezioni di crescita di utili e fatturati, nella pianificazione di future crescenti quote di mercato, nella gestione del personale trasformato in “capitale umano” e così trattato con l’asetticità che si riserva a una componente di bilancio. Perché allora non vedere la lettura di Dracula come un salutare esorcismo di fronte all’incondizionato scientismo a cui ci si affida troppo spesso nella gestione delle organizzazioni? Jean Jacque Rousseau scrisse: “Se c’è al mondo un fatto ben documentato è senz’altro l’esistenza dei vampiri. Non manca nulla: rapporti ufficiali, dichiarazioni giurate di persone note, medici, preti, magistrati. Le prove giudiziarie sono assolutamente complete. E nonostante tutto c’è forse chi creda ai vampiri?”.

Noi no, certamente. Ma perché non farsi contaminare dalla figura di quel sinistro conte transilvano che ci permette di trasformare le paure in sembianze umane e, così, di esorcizzarle convincendoci che, alla fine, la virtù trionferà sempre sulla corruzione e la razionalità sul buio della ragione, che, pur mostruoso, alla fine si dissolve?

Postato dalla personalità mutante di: Enzo Riboni

  • Marco Minghetti |

    Ad integrazione del testo di Riboni, propongo uno stralcio di un mio vecchio editoriale scritto per Hamlet nel novembre 2000, successivamente anche ripreso ne L’Impresa shakesperiana (ETAS, 2002):
    “Benchè il sodalizio che avrebbe avuto come esito finale la scrittura di Frankestein si sia svolto sulle rive del lago di Ginevra, a molte miglia di distanza dall’Inghilterra, a tutt’oggi – racconta Stephen King – è da ritenersi come uno dei più pazzi tea party all’inglese di tutti i tempi. E, cosa buffa, da quel sodalizio potrebbe essere uscito non solo Frankestein, pubblicato nello stesso anno, ma anche Dracula, un romanzo scritto da un uomo che sarebbe venuto al mondo solo trentun anni anni dopo”. Infatti nel giugno del 1916 Percy e Mary Shelley, Lord Byron e il dottor Polidori, costretti a restare chiusi in casa per due settimane a causa delle pioggie torrenziali, decisero che ognuno di loro avrebbe scritto un racconto del terrore. Mary Shelley fu l’unica a portare compiutamente a termine il suo compito, ma John Polidori redasse la bozza di un testo divenuto più tardi un romanzo dal titolo Il vampiro, che probabilmente servì da base a Bram Stoker per elaborare il suo molto più fortunato e conosciuto Dracula.
    Il Barone Von Frankestein e il Conte Dracula nascono dunque insieme e nel corso dell’Otto-Novecento le loro fortune letterarie e cinematografiche viaggiano in parallelo: oggi sembrano esprimere due aspetti dell’epoca attuale strettamente connessi. Stephen King insiste sui tabù sessuali rispetto a cui la figura del vampiro gioca il suo successo: oltre alla situazione “di cui il pubblico sembra non saziarsi mai…la scena primaria dello stupro”, a suo avviso la “base sessuale di Dracula è una oralità infantile congiunta a un forte interesse per la necrofilia”. Si tratta di elementi certamente decisivi nell’alimentare il fascino sempiterno del Conte. Ma, oggi come oggi, giunti alla fine dell’”era Clinton” (momento storico in cui sto scrivendo questo righe), se la mettiamo sul piano del sesso orale persino il Presidente degli Stati Uniti rischia di essere più terrorizzante di qualsiasi Dracula o Nosferatu.
    Io credo invece che il terrore suscitato dal vampiro oggi vada collegato a ciò che lo rende specificamente “diverso”. A ben vedere il suo essere mutante si evidenzia soprattutto nel propagarsi per contagio: esattamente la modalità di sviluppo dell’AIDS, osserverebbe con ogni probabilità King; ma anche quella tipica del Web e della navigazione al suo interno (che del resto lo stesso King ha saputo utilizzare in maniera originale e assai redditizia: ha avuto infatti l’idea, premiata da un grandissimo successo, di pubblicare i suoi ultimi libri, Riding the bullet prima e The Plant poi, unicamente in Rete, escludendo i classici sistemi di distribuzione). Non a caso, uno dei maggiori problemi della Rete è la rapida e quasi istantanea diffusione di “virus” informatici. Ma anche guardando al normale, non patologico, modo di fruizione della Rete, sappiamo tutti bene che, come accade per le ciliegie, un link tira l’altro, ogni click apre altre cento possibilità ed ognuna di esse a sua volta spalanca le porte di entrata a infiniti altri percorsi. “La cultura di Internet -troviamo scritto nel Secondo Rapporto CNEL sulla Comunicazione (Roma 2000) -contamina osmoticamente anche le metodologie di ricerca; modifica sostanzialmente il modo in cui esploriamo la realtà e riusciamo a renderci conto di un cambiamento che si realizza prima ancora che ci sia stata da parte nostra la possibilità di avvertirne pienamente i sintomi premonitori”.
    Il vampiro nell’era di Internet è la comunicazione, soprattutto quella elettronica, che ne possiede la stessa radicale ambiguità. La comunicazione può manifestarsi come energia vitale se aiuta a “descrivere le proprie esperienze, confrontarle, fare condivisione di know how” e dunque ad indirizzare le persone verso cammini di arricchimento individuale e collettivo che permettano loro di ampliare le proprie capacità intellettive, allargandone la sfera di pensiero e di azione, come preconizzato anche dal Premio Nobel per l’economia Amartya Sen: così come accade a coloro che accettano e anzi spesso ricercano nei film e nei romanzi il contatto con il vampiro, guadagnando così l’accesso ad un livello di esperienza fuori dal normale ( la persona vampirizzata può volare, acquisisce smisurate doti fisiche, sviluppa capacità intellettuali superiori, diviene pressocchè immortale). Ma è lo stesso Rapporto a segnalare che la comunicazione può anche manifestarsi “come forza, secondo quanto paventa Guido Ceronetti, capace di capovolgere qualunque autonomia nel suo opposto, di suscitare dall’humus delle libertà e dei diritti uno sconfinato cimitero di manichini spersonalizzati”. Un cimitero di manichini spersonalizzati…esattamente il destino di chi diviene una sorta di morto vivente dopo avere ceduto al fascino di Dracula …o di Internet?
    Il rischio c’è…e giustifica la paura. Il punto è che, osserva Pier Luigi Sacco in alcune note di commento al libro di Richard Bennet L’uomo flessibile, “nella nuova economia e nella nuova società fondata sulla assolutizzazione della comunicazione, dare contenuto alla propria esistenza richiede necessariamente l’accettazione di un rischio: quello di esplorare panorami sconosciuti, affrontare scelte ed esperienze per le quali la saggezza convenzionale non ha più valore o può addirittura divenire fuorviante, e nella quale la gerarchia delle priorità esistenziali può diventare aperta e indeterminata in modo angosciante (tema che, come i lettori ricorderanno, abbiamo posto al centro delle nostre riflessioni in Esperienza o potenziale?).” Per quanto riguarda il mondo aziendale, se l’energia vitale della comunicazione è correttamente indirizzata dal management, la sua forza competitiva ne è moltiplicata immensamente. Perché questo avvenga occorre che esprima dei top manager innanzitutto convinti dell’importanza “di creare e gestire un esplicito sistema di obiettivi”, che non sia però statico; di puntare quindi al raggiungimento del risultato complessivo dell’impresa “rompendo le scatole” in continuazione a tutti i manager, inchiodandoli alla definizione di obiettivi ambiziosi, all’analisi dei risultati, alla spiegazione delle varianze, eccetera,” spiega Cuneo. Tale impostazione, che tende a rendere più flessibile la classica organizzazione “apollinea”, viene potenziata dal fatto che, nelle loro aziende, questi leader costruiscono griglie di valori comuni che poi vengono diffusi con linguaggi originali e utilizzando tutte le risorse dell’informazione, della comunicazione, della formazione e dello sviluppo, affinchè coloro che a tali valori vengono richiamati siano da essi “contagiati” e divengano a loro volta “portatori sani”.

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