Hard Boiled Alice – Alice annotata 15a

Which way, which way? Quale è la strada che conduce al senso? Parks, analizzando in particolare i libri carrolliani  più importanti, i due dedicati ad Alice e The Hunting of the Snark (che è uno sviluppo del Jabberwocky contenuto in Attraverso lo Specchio) sintetizza così i termini della questione: “Anche se le opere di Lewis Carroll realizzano una dissociazione fra significante e significato, non arrivano mai ad una rottura radicale di ogni schema comunicativo, anche perché mantengono intatta la sintassi del discorso e la struttura logica sottostante. Perciò esse sono opere aperte, che possono sopportare molte interpretazioni – magari anche contrastanti – ma non opere prive di senso o impenetrabili. Per essere precisi, Carroll non arriva mai agli estremi di un Joyce nel suo Finnegans wake (che peraltro propone numerosissimi richiami ad Alice, come hanno testimoniato numerosi studi citati anche da Gardner[i], ndr) o a certa avanguardia in cui restano soltanto le forme e i suoni delle parole ma in cui ogni barlume di senso è svanito. The Hunting of the Snark, ad esempio, può essere interpretato in tanti modi…  ma è appunto interpretabile, e conserva una sua coerenza interna, come i romanzi di Kafka”.

Carroll dunque anticipa straordinariamente le pratiche di “generazione di senso” molteplice e incessantemente interpretabile tipiche della postmodernità, che, osserva ancora Parks, possono realizzarsi solo se si sfugge alla logica del “Padrone unico” del linguaggio. Se il padrone è il codice, ogni possibilità di uso creativo viene negata; se il parlante, ogni comunicazione sociale viene meno. Come ha affermato Bolter, checché se ne pensi della rivoluzione del web 2.0, non c’è dubbio che essa ha determinato nelle pratiche artistiche (e non solo) di generazione di senso la perdita di un centro di riferimento unico. Del Padrone del Linguaggio, appunto, cui Carroll con parecchie decine di anni di anticipo aveva saputo sottrarsi.

Per apprezzare a pieno il valore di questa visione anticipatoria,  prendiamo in considerazione le tesi di Karl Weick, studioso che  ha dedicato gran parte della sua attività a descrivere il sensemaking, ovvero  l’insieme dei processi cognitivi attraverso i quali gli individui attribuiscono un senso al flusso disordinato e informe delle loro esperienze e organizzano la realtà.[ii] Per  Weick, creare senso e organizzare è essenzialmente la stessa cosa, sono le due facce della stessa medaglia. Ebbene, è interessante analizzare i due libri di Alice, facendo in particolare perno sul secondo capitolo di Alice in Wonderland,  per verificare come  si possano ritrovare elementi che rimandano a tutte e sette le parole-chiave della sua teorizzazione, secondo cui il sensemaking nelle organizzazioni è un processo caratterizzato da costruzione dell’identità, retrospettività, “enactment” (istituzione dell’ambiente di riferimento), socialità, continuità, selezione delle informazioni, continuità, plausibilità.[iii]

Prima di esaminare più in dettaglio questa teoria sociologica attraverso gli occhi di Alice, mi piace però sottolineare che essa combacia con le idee esposte da un grandissimo scrittore nel momento in cui scriveva romanzi gialli perfezionando la forma cosiddetta “hard boiled” (introdotta da Hammett) esplicitamente in antitesi con il filone “scientifico” che faceva capo a Conan Doyle-Sherlock Holmes e Agatha Christie-Miss Marple: Raymond Chandler. Vale la pena di soffermarsi su questa analogia anche perché consente di proseguire nelle nostre analisi cercando  di dare una risposta a quanto osservava  La Frusta Letteraria in un commento su Facebook  ad Alice annotata 7: “Il grande narratologo americano Seymour Chatman in Storia e discorso (Pratiche editrice, 1978) nei fatti distingueva due modelli narrativi, due possibili narrativi: il “meccanismo di risoluzione” (vedi la narrazione ad enigma: il giallo, il noir ecc) e il “meccanismo di rivelazione”, ossia la narrazione consecutiva, quella che man mano svela mondi reali, psichici, fantastici… Questo a livello “macronarrativo”, perché a livello micronarrativo le cose si complicano maledettamente. Insomma stringi stringi o racconti una storia “more geometrico demonstrata” oppure una ondivaga e frattalica… Chissà se il “meccanismo di risoluzione” non possa poi coincidere, nel nostro discorso, con lo “scientific management” e il “meccanismo di rivelazione” con lo “humanistic  management”.

A me sembra  che l’apparentamento “risoluzione-scientific management” e “rivelazione-humanistic management” possa funzionare anche all’interno di un genere come il giallo (sul tema poi dei generi letterari torneremo più specificamente), anche se la metafora del “meccanismo”, perfetta per lo scientific management, è, per motivi uguali e contrari, del tutto inadatta allo humanistic management.[iv] Se dunque abbiamo definito Alice una humanistic manager, possiamo anche dire che Alice, in quanto humanistic sensemaker,  è  hard boiled?

Vediamo. Raymond Chandler nel 1949 esponeva le dieci “regole del buon romanzo giallo”, che in sintesi erano le seguenti:

1    Il romanzo giallo, analogamente a quanto accade con il processo di sensemaking (“the ongoing, retrospective development of plausible images that rationalize what people are doing.” (Weick, Sutcliffe, & Obstfeld, 2005, p. 409),  deve essere motivato in maniera plausibile sia come situazione originale, sia come conclusione: “Deve cioè essere costituito da azioni plausibili, condotte da persone plausibili in contesti plausibili”, scrive Chandler.

2 Il giallo deve essere tecnicamente esatto per quanto riguarda i metodi del crimine e dell’indagine. “Niente veleni fantasiosi o effetti indesiderati quali morte per dosi sbagliate ecc. Niente silenziatori alle pistole (di solito non funzionano, perché non c’è continuità tra la camera di scoppio e la canna), niente serpenti che si arrampicano sui cordoni dei campanelli”.  Come per Weick il percorso di senso si basa quindi su informazioni corrette e selezionate.

3 Il romanzo poliziesco deve essere realistico per quanto riguarda personaggi, ambiente e atmosfera. Deve trattare di “persone vere in un mondo vero”. Proprio come vuole Weick, l’identità dei protagonisti e del loro contesto sociale è centrale.

4 Il romanzo giallo deve avere un autentico valore come storia, a parte l’elemento poliziesco. “Per lo più gli scrittori escogitano una trama attorno a una situazione intrigante e poi procedono adattandovi i personaggi. Per me, al contrario, l’intreccio di un libro, se si può definirlo così, è una cosa organica. Cresce da solo“. (cfr. Continuità in Weick)

 5 Il romanzo poliziesco deve avere una semplicità di struttura fondamentale, sufficiente a rendere facili le spiegazioni quando è il momento. Il finale ideale è quello in cui tutto si fa chiaro in una breve sequenza di azioni. Qui Chandler sembra anticipare la tesi di Weick secondo cui i processi di sensemaking si fondano su strutture minime di senso che permettono di localizzare, percepire ed etichettare gli eventi. Weick ritiene che tali strutture consistano nella connessione fra una cornice (frame) e una specifica informazione.

6 Il mistero insito nel romanzo poliziesco deve eludere un lettore ragionevolmente intelligente.

7 La soluzione, una volta rivelata, deve apparire inevitabile. (i punti 5,6,7 rimandano al concetto weickiano di  retrospettività, centrale nel suo pensiero: “il processo di sensemaking è un processo continuo e retrospettivo (si può dare senso a ciò che è accaduto solo dopo che sia accaduto), in cui sussulti e shock possono anche portare a riconsiderare il senso di esperienze precedenti a cui già si era dato un senso diverso” (E. Bartezzaghi, L’organizzazione dell’impresa, ETAS)

8 Il romanzo poliziesco non deve cercare di fare tutto in una volta: se è una storia misteriosa in un clima mentale freddo, non può essere contemporaneamente una storia di violente avventure o di amore appassionato   (occorre dunque la coerenza richiesta anche da Weick).

9 Il romanzo poliziesco deve punire il criminale in un modo o nell’altro, non necessariamente mediante il giudizio di un tribunale… Senza la punizione, il romanzo diventa simile a un accordo non risolto in musica. Lascia un senso di irritazione.

10 Il romanzo giallo deve essere ragionevolmente onesto con il lettore. (Questi ultimi due punti esprimono un aspetto etico che Weick non tocca e su cui torneremo più avanti).

Alice annotata                      15a. Continua.

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[i] Cit, p. 18.

[ii] Cfr. Weick, Karl E. 1993 – “Organizzare. La psicologia sociale dei processi organizzativi”, Isedi (originale 1969), Weick, Karl E.  1995 – “Senso e significato nell’organizzazione”, trad. it.  1997 Raffaello Cortina Editore.

[iii] Cfr. Nulla due volte,pag 185 e sgg.

[iv] Riporto per completezza anche un successivo commento de La Frusta Letteraria. Avevo infatti ricordato che che “proprio il libro di Chatman cominca con una citazione da Alice: il re rosso che la invita a raccontare la sua storia “dall’inizio alla fine”. Ma Alice alla fine dei due libri fa saltare il banco (il mazzo di carte prima, la scacchiera poi) quasi a prefigurare le nuove forme narrative che scompagineranno regole e formati della narrativa moderna, solida, borghese, ottocentesca: la letteratura cara agli scientific manager di ogni tempo, perchè è il sostegno intellettuale ad un modello cognitivo, sociale ed infine politico di tutte le Istituzioni Totali.”

Questa la precisazione de La Frusta Letteraria: “Wow, che Chatman citasse in epigrafe “Alice” è una felice coincidenza nel nostro discorso che neanche immaginavo visto che citavo a mente. Adesso, ripreso materialmente in mano il libro, rilevo d’emblée che il discorso su intrecci di rivelazione e di risoluzione (pp 45-47) ha bisogno quanto meno di qualche precisazione, ossia che c’è tanta rivelazione negli intrecci di risoluzione quanta risoluzione negli intrecci di rivelazione. La “rivelazione” nei gialli o nei mistery ad esempio può essere data dal disvelamento, dalla pittura di atmosfere sociali o psichiche non di secondo momento: la Los Angeles alla “Blade Runner” di Chandler o il Belgio delle chiuse e delle brume di Simenon, oltre che le contorte psicologie degne del lettino freudiano in Hitchkock, tanto che c’è chi sostiene che il vero “romanzo sociale” oggi sia il giallo… Viceversa la “risoluzione”, ovvero quel meccanismo che soddisfa la domanda ingenua che accompagna l’uomo dai primi racconti orali del neolitico, ossia “come andrà a finire?” “e adesso cosa accadrà?”, in cui l’elemento di suspense, non necessariamente legato al disvelamento di un mistero o di un enigma, è altrettanto necessario e cogente di quella rivelazione di mondi sociali o psichici posti in preminente evidenza dall’autore. In “Madame Bovary”, che si avvale di un intreccio di rivelazione, ad es., la curvatura del racconto è tale che c’è una fase di accumulo, una di pieno disvelamento, un acmé culminante col suicidio della protagonista che coincide con lo scioglimento, e dove la fine della narrazione coincide con la sua teleologia: la morte è la chiave di volta di tutto ciò che si è venuto illustrando fino ad allora: la bancarotta dell’io di un soggetto femminile che era uscito dal baricentro della propria personalità immaginando di essere qualcosa di diverso da ciò che effettivamente era. Insomma anche nella narrativa di rivelazione l’elemento “tecnico” della “messa in tensione” sia degli eventi che degli esistenti è tale che come dice P. Goodman “all’inizio tutto è possibile, a metà le cose divengono probabili, alla fine tutto è necessario”. Aggiungo che la scelta della prevalenza di uno o dell’altro tipo di intreccio resta però dirimente a livello macrostrutturale tanto che oggi l’intreccio di risoluzione ha assunto le sembianze di un genere tanto autonomo quanto eccessivamente preponderante nelle predilezioni degli scrittori.” Alla luce  di queste riflessioni, viene da pensare che c’è un po’ di humanistic management anche in Taylor (cui si devono le “invenzioni” della formazione aziendale e dei premi di produzione ad esempio), così come non ci può essere un  management umanistico totalmente anarchico e senza modalità organizzative, valutazioni delle performance e modelli di leadership… fermo restando che si tratta a livello macro di due modelli operativi, cognitivi  ma ancor di più etici totalmente opposti.