L’Identità Molteplice, Parte prima – Alice annotata 8a

What is the use of a book without pictures or conversations?”: la questione si pone con tanta più forza quando il libro in questione pone come  tema fondamentale  la ricerca dell’identità perduta. Le peripezie di Alice sono scandite da una ininterrotta serie di trasformazioni che ne minano l’integrità individuale. La sua prima avventura, non appena ha finito di surfare nel cunicolo, non a caso è incentrata sulla modificazione della sua struttura fisica che diviene modificazione della sua struttura mentale.

Un’avventura pericolosissima, potenzialmente letale (Martin Gardener e William Empson hanno sottolineato che le avventure di Alice sono costellate di “death jokes”), come intuisce quando scorge la bottiglietta con il liquido che la farà rimpicciolire: “It was all very well to say `Drink me,’ but the wise little Alice was not going to do THAT in a hurry. `No, I’ll look first,’ she said, `and see whether it’s marked “poison” or not’; for she had read several nice little histories about children who had got burnt, and eaten up by wild beasts and other unpleasant things, all because they WOULD not remember the simple rules their friends had taught them: such as, that a red-hot poker will burn you if you hold it too long; and that if you cut your finger VERY deeply with a knife, it usually bleeds; and she had never forgotten that, if you drink much from a bottle marked `poison,’ it is almost certain to disagree with you, sooner or later)”.

Tuttavia la tentazione è irresistibile per Alice, che risolve il problema fingendo di accettare la tesi della corrispondenza fra parole e cose (“However, this bottle was NOT marked `poison,’ so Alice ventured to taste it”), che non solo è fondativa del Libro per eccellenza, la Bibbia (Dio, ha ricordato di recente ad esempio Erri De Luca, per creare il mondo lo deve innanzitutto nominare: “la prima cosa che dice Dio è ‘Sia la luce’ e luce fu. Ma a chi la dice? Là non c’era nessuno… E perché la deve dire? La deve dire perché sennò non s’accende la luce. Non basta la volontà divina. Se Dio non parla ed usa esattamente quelle lettere la luce non può essere creata. Le parole che dice fanno avvenire le cose… sono responsabili delle cose… c’è una identità fra la cosa detta e la cosa compiuta”[i]; così come, potremmo aggiungere,  Adamo esprime la sua somiglianza con Lui soprattutto nel momento in cui svolge il compito di nominare piante e animali del Paradiso terrestre [ii]), ma è al centro delle riflessioni di Platone e Shakespeare, (nonché di molta letteratura moderna  e contemporanea, come ho già avuto modo di sottolineare altrove [iii]).

Dopo avere bevuto  commenta: What a curious feeling!. Per inciso, in generale  l’aggettivo “curious” e il comparativo (usato alquanto irregolarmente quasi come un superlativo) “curiouser” sono fra i suoi prediletti. Anche se questa sua curiosità rischia di uccidere il “gatto” della sua identità individuale.

Non sorprende così che la domanda postale più avanti dal Brucaliffo: ‘Who are YOU?’, produca  solo una sterile discussione circolare; mentre in uno dei dialoghi che usa intrattenere con un’altra, immaginaria, sé stessa, la bimba è colta da un’incertezza ontologica radicale: sono Alice o la sua stupida amica Mabel? La fanciulla arriva dunque a percepire la frammentazione della soggettività. Pirovano scrive: “Il sé impersona continuativamente la sua assenza… i personaggi risultano costituiti da più sé, ciascuno dei quali non è sovrapposto, ma giustapposto all’altro”. Quale migliore definizione, apparentemente, della permanente crisi d’identità sperimentata da Alice e dagli individui bizzarri (il metamorfico Bracaliffo, l’evanescente Stragatto, i folli – “del resto qui siamo tutti folli”, avverte lo Stregatto – Cappellaio Matto e Lepre Marzolina…) che incontra nei suoi meravigliosi tour? Peccato che Pirovano stia parlando di tutt’altro viaggio: ovvero dell’“itinerario dello spettatore postmoderno nei film di Quentin Tarantino[iv]”.

Ma Alice è una maestra migliore anche di Tarantino, sotto questo aspetto. La sua storia è paradigmatica della possibile alternativa che nella contemporaneità si pone alla frammentazione, o al mero sincretismo per giustapposizione, come metodo per sviluppare l’individualità: l’alternativa sta nella contaminazione, nella connessione, nell’ibridazione delle personalità in una singolarità originale che non necessariamente, come vorrebbe Bauman, “è soprattutto un impianto di rigenerazione e riciclaggio che vive a credito e si alimenta di prestiti”[v].

Il viaggiare di Alice corrisponde al fare esperienza del Barbaro di Baricco: “Nel suo viaggiare in velocità sulla superficie del mondo cercando il profilo di una traiettoria che poi chiama esperienza, il barbaro incontra talvolta stazioni intermedie affatto particolari. Che so, Pulp fiction, Disneyland, Mahler, Ikea, il Louvre, un centro commerciale, la FNAC. Più che stazioni di transito, esse sembrano essere, in modi diversi, il riassunto di un altro viaggio: un condensato di punti radicalmente estranei tra loro ma coagulati in un’unica traiettoria, concepita da qualcuno al posto nostro: e da lui consegnataci. In questo senso offrono al barbaro una chance preziosissima: moltiplicare la quantità di mondo collezionabile nel suo veloce surfing. L’illusione è che fermandoti in quella stazione percorri in realtà tutte le linee ferroviarie che arrivano lì. Se uno passa da Pulp fiction passa, simultaneamente, da una bella antologia iconografica del cinema: così come, in tre ore di Louvre, si porta a casa un bel po’ di storia dell’arte. In un negozio di mobili puoi trovare il comodino che fa per te, ma da Ikea trovi un modo di abitare, una certa coerente idea di bellezza, forse perfino un particolare modo di stare al mondo (è un posto in cui l’idea di restituire l’albero di Natale dopo l’uso fa tutt’uno con una certa idea della stanzetta per i bambini). Sono tutti macrooggetti anomali: li chiamerei sequenze sintetiche. Suggeriscono l’idea che si possano costruire sequenze proprie inanellando non tanto singoli punti di realtà, quanto concentrati di sequenze formalizzate da altri. Un impressionante effetto moltiplicatore, bisogna ammetterlo. Si può forse affermare che, una volta conosciute, il barbaro abbia scelto quelle sequenze sintetiche come luoghi di transito prediletti del suo andare: e quando costruisce stazioni di passaggio tende a costruirle su quel modello. Dalla libreria-café al quotidiano che vende libri e dischi in allegato, fino agli enormi centri commerciali dove c’è anche la chiesa, prevale l’idea istintiva che se passi da un punto che ne contiene tre, o cento, puoi arrivare a collezionare un’impressionante quantità di mondo”[vi].

Come a dire che anche il passaggio attraverso i non luoghi di Augè, in cui noi “tardivi digitali” vediamo semplicemente esprimersi la vuotezza della “sensibilità postmoderna, per la quale una moda vale l’altra, là dove il patchwork delle mode significa la cancellazione della modernità”[vii], dunque la perdita di senso, di solidità, della propria identità, per il Barbaro, come per Alice, si trasforma nel trascorrere in un mondo avvertito come luogo-portmanteau, in cui la collazione apparemente incongrua, nonsense, di esperienze determina un nuovo genere di identità, molteplice e mutante.  Scopriamo così che il nucleo narrativo di Alice, la costruzione per via esperienziale di una identità molteplice, è al centro della contemporaneità postmoderna, almeno nella descrizione che ne fa Edward Docx: “Il postmodernismo mirava a qualcosa di più che pretendere semplicemente una rivalutazione delle strutture del potere. Affermava che noi tutti come esseri umani altro non siamo che aggregati di quelle strutture. Sosteneva che non possiamo prendere le distanze dalle richieste e dalle identità che tali discorsi ci presentano. Adios Illuminismo. Bye bye Romanticismo. Il postmodernismo, invece, afferma che ci muoviamo attraverso una serie di coordinate su vari fronti – classe sociale, genere, sesso, etnia – e che queste coordinate di fatto costituiscono la nostra unica identità. Altro non c’ è. Questa è la sfida fondamentale che il postmodernismo ha portato al grande convivio delle idee umane, in quanto ha cambiato il gioco, passando dall’autodeterminazione alla determinazione dell’ altro”.[viii]

Alice annotata     8a. Continua.

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[i] http://festivaletteratura2011.telecomitalia.com/index.php, video on demand disponibile fino al 31 dicembre 2011.

[ii] Su questo vedi anche Gianrico Carofiglio, La manomissione delle parole, pp. 2021.

[iii] Nulla due volte, Schiewiller, 2006, pp. 195-196.

[v] Bauman, Zygmunt, Vita liquida, Roma-Bari, Laterza, 2006, p. 24.

[vi] I Barbari, 24.La spettacolarità generatrice del movimento.

[vii] Marc Augè, Nonluoghi, Elèuthera, 2002, p. 29.

 

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