CRESCE LA SOCIAL BUSINESS COLLABORATION

Anche la nuovissima ricerca del MIP lo conferma: la Social Business Collaboration che OpenKnowledge ha profeticamente introdotto in Italia con la prima edizione del Social Business Forum nel 2008 (appuntamento il 7 e 8 luglio con l’edizione 2015!)  si diffonde nelle aziende italiane e oggi il 61% delle grandi imprese ha avviato o sta avviando almeno un’iniziativa a supporto dei processi collaborativi emergenti. Anche le PMI si stanno affacciando alla tematica registrando progetti nel 20% dei casi.

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Il fenomeno è più che mai rilevante: di tutte le iniziative segnalate, il 32% è in pianificazione, il 31% sono iniziative pilota e il 19% sono in una fase di estensione del pilota iniziale. Il rimanente 18% si trova in una fase di utilizzo diffuso, a dimostrazione del fatto che limitarsi al supporto transazionale ai processi non è più sufficiente.

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“A distanza di un anno dalla scorsa ricerca possiamo affermare che la Social Business Collaboration è sempre più attuale nella gestione delle aziende, sia che si tratti di grandi imprese che di Pmi, con una crescita significativa rispetto al 2013, in particolare per le grandi imprese, che è pari al 22%”, leggiamo nella ricerca.

Perché è importante la Social Business Collaboration per le aziende? Nuove modalità di lavoro, maggiore efficienza ed efficacia nei processi di business, condivisione e riuso della conoscenza rappresentano le principali motivazioni per cui le imprese considerano essere sempre più rilevanti questi progetti.

Ma il dato più importante è che, tra le aziende che hanno realizzato tali progetti, si registrano ottimi risultati in termini di soddisfazione e benefici ottenuti: l’85% del campione è soddisfatto o molto soddisfatto di aver realizzato un progetto in ambito collaborativo.

Questo è quanto emerge dalla fotografia scattata dall’Osservatorio Collaborative Business Application, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano e giunto alla sua seconda edizione. La Ricerca, presentata a Milano presso il Campus Bovisa in occasione del Convegno “Execution e Collaborazione emergente: finalmente uniti!” ha analizzato le componenti che contraddistinguono il fenomeno della Social Business Collaboration e gli impatti a livello organizzativo nelle aziende di grandi, medie e piccole dimensioni.

Sempre più numerosi sono i processi interessati da progetti di Social Business Collaboration: le iniziative analizzate vedono nel 34% dei casi coinvolti i processi di marketing e delle vendite, seguono i processi di gestione dei sistemi informativi (32%), di comunicazione interna (29%) degli acquisti (22%) e delle operations (21%). Ancora marginalmente interessati i processi di Logistica (12%), Gestione risorse umane e gestione della qualità (11%).

Gli strumenti introdotti attraverso le iniziative sono nel 54% dei casi strumenti di tipo collaborativo, nel 46% dei casi strumenti di archiviazione documentale e nel 46% si tratta di strumenti di gestione dei workflow. Ancora una volta la tecnologia si conferma fattore importante per abilitare la crescita e lo sviluppo delle imprese.

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”La sola tecnologia non basta per far sì che l’introduzione di tali strumenti in azienda porti ad un’esecuzione più performante del business: occorre ripensare le logiche di governo dei processi e i modelli di gestione e motivazione delle persone, verificandone gli impatti anche sugli spazi di lavoro”, affermano i ricercatori del MIP.

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Gli stimoli alla realizzazione di tali iniziative non vengono solo dall’IT, tradizionalmente sensibile alla tematica: oltre che dal Top Management (42%) vi sono Marketing e Vendite (28%) ed HR (29%), confermando la trasversalità del fenomeno e l’elevato impatto sugli utenti finali. Ma soprattutto la validità dell’approccio proposto nel volume L’intelligenza collaborativa. Verso la social organization che prevede una specifica metodologia per l’ingaggio del Top Management. I processi di social collaboration, secondo questa impostazione, confermata dai dati del MIP, possono affermarsi solo se vi è un chiaro coinvolgimento ed impegno del Top Management

1) nell’individuazione dei processi core  da reingegnerizzare (in quanto inefficienti, burocratici, definiti da stili di leadership Comando e Controllo ormai inadeguati, a scarso engagement, ecc) in base  ai criteri del Management 2.0 (lavoro collaborativo, processi orizzontali, apertura interno/esterno, ecc), anche in termini di Roadmap evolutiva;

2) nel creare un ambiente aziendale abilitante la loro trasformazione in chiave  di Social Collaboration, che si traduce in primo luogo nel rendere questa trasformazione parte integrante del Piano Industriale/Vision Strategica e quindi nella loro conduzione tramite l’esempio personale (Social CEO).

La metodologia da me utilizzata, in tutto o in parte,  in aziende come Dedalus, Banca Sella, GRMA, BPER  e Heineken è la seguente:

1. Workshop con i Top Manager aziendali, insieme a AD/CEO e Direttore HR, finalizzato a condividere il modello della Social Organization e il Modello di Assessment Organizzativo denominato Community Mapping;

2. Community Mapping: Interviste individuali (durata di circa un paio d’ore) mirate a condividere un linguaggio comune e a far scegliere agli stessi manager aziendali i processi da trasformare in termini di Community, Value Proposition, Social Tool, Parametri per la misurazione del ROI prodotto dal lavoro collaborativo. Le interviste coinvolgono 1 manager ogni 100 persone facenti parte dell’azienda o delle divisioni aziendali oggetto dell’intervento. Ogni manager riceve 1 report individuale con la sintesi dell’intervista. Il vertice aziendale riceve un Executive Report con l’indicazione di una Rodmap evolutiva dei processi da implementare.

L’assessment può quindi preludere allo sviluppo di progetti specifici di competenza di altre Solution di OpenKnowledge come

a) la creazione di Piattaforme ad esempio per il Social Customer Care o la CSR;

b) la trsformazione dell’Intranet tradizionale in un  Digital Workplace collaborativo;

c) lo sviluppo di soluzioni di Social Learning collaborativo.

In questo quadro OpneKnowledge  ha compreso, nell’affiancare varie tipologie di aziende clienti, che la prontezza culturale al cambiamento e’ fondamentale per l’accettazione/comprensione/adozione dei nuovi paradigmi social e digital  da parte del sistema azienda.

Il cambiamento deve includere tutte le parti ed essere ‘esperito’ e testimoniato dal capo azienda e dal management per diffondersi in modo virtuoso verso la periferia superando conflitti, dinamiche negative, resistenze all’innovazione.

Per trasformarsi in Social CEO i manager (singoli o team) devono seguire un percorso che secondo il nostro approccio può prevedere i seguenti step:

Valutare il gap fra i valori tipici del Management 1.0 e quelli del Management 2.0

Seguire un percorso di presa di consapevolezza del gap esistente fra il proprio set valoriale e quello di un Manager 2.0 (leader convocativo)

Coprire il gap

Attivare piani di comunicazione ad hoc in cui diventano i protagonisti di attività conversazionali tramite SN rivolti a stakeholder interni/esterni.