La natura con i suoi ritmi nel ciclo di produzione

Genius loci e sregolatezza VI

Di Piero Trupia

Sam Deckard osservò a lungo i cuochi astronomi di Adrian all’opera. Li vide osservare il cielo con potenti telescopi e ne lodò la passione e l’abilità nel preparare pietanze tanto raffinate, leggendo i disegni del cosmo. “Ho capito!” […] “Voi vi sentite parte di una tavola immutabile, ingredienti di un piatto grandioso e misterioso. Per questo vi guardate bene di apportare alla vostra cucina e ai vostri piatti il più lieve cambiamento[…]”.

I cuochi si guardarono interdetti.  “Ma perché mai?”, “E chi l’ha detto?”.

“Ma tutte queste innovazioni non turbano il ritmo e l’equilibrio astrale del sistema dal quale la vostra cucina è ispirata e si genera?”, chiese stupito Deckard.

I cuochi astronomi sorrisero. “Così perfetta è la sintonia tra Adrian e il cosmo che ogni cambiamento nelle sue creazioni, negli ingredienti, nelle cotture o nella posizione dei cibi in un piatto determina qualche novità tra le stelle”.

Episodio N° 117/128 de  Le Aziende In-Visibili, Romanzo a Colori di Marco Minghetti & The Living Mutants Society (Libri Scheiwiller, 2008)                                                                                                               

Cooperlat (Jesi, Ancona)

Tradizionale nel prodotto, innovativa nella vision e, conseguentemente, nel resto. L’organizzazione, la gestione e la produzione sono funzione della vision, l’unica variabile indipendente dell’Azienda In-Visibile.

La mission di Cooperlat è la valorizzazione di latte e latticini nei luoghi dove si è affermata una qualità specifica, dove abita il genius della pastorizia e dell’allevamento. La produzione Cooperlat si è affermata sulla base di una condivisione di valori culturali della qualità legata alla genuinità naturale e alla tradizione.

Tre leve di marketing: innovazione di prodotto tesa al recupero dei metodi di lavorazione tradizionali, innovazione nel confezionamento, comunicazione alla clientela da associare alla vision aziendale. Leve della gestione sono la struttura e la cultura cooperativa.

Ci ha detto il presidente, Giovanni Cucchi.

Siamo una cooperativa di produttori di latte e latticini. Il nostro primo obiettivo è stato consolidare i caseifici tradizionali, specie della montagna. Garantiamo l’ottimizzazione del volume attraverso la sicurezza dello sbocco e la qualità uniforme in modo da poter dialogare con la grande distribuzione. Non la Grande Distribuzione Organizzata, ma la Grande Distribuzione Associata che ha una filosofia analoga alla nostra.

Valorizziamo la produzione locale, ultimamente anche in Lombardia. La nostra è una produzione che si integra nell’ordine naturale delle stagioni e delle vocazioni territoriali: un luogo, un territorio, un microclima, un pascolo, una materia base, un prodotto finito. Assicuriamo ai nostri soci allevatori un assorbimento che copre il 70% del nostro fabbisogno.

I nostri prodotti sono tradizionali, ma non per questo meno innovativi. Innovazione di gusto, sempre rispettando la tradizione, di affinamento, di combinazione di gusti, di valore dietetico.

Abbiamo ripescato vecchi fermenti che prolungano e affinano la fermentazione naturale con miglioramento del gusto e del valore nutrizionale e dietetico.

Curiamo l’informazione al consumatore e l’educazione alimentare nelle scuole con il programma ‘adotta una mucca’.

Anche l’industria alimentare è stata investita dal ciclone della new economy con la tendenza a trasformare in finanziari i valori economici. Il sano tradizionalismo e conservatorismo della cultura cooperativa ci ha evitato questa deriva.

Siamo tra i promotori del progetto internazionale NERUDA, Nuevas Empresas Rurales y Desarrollo Agricolo, tra produttori europei e dell’America latina. Il centro intellettuale di NERUDA è l’Università Politecnica delle Marche in Ancona.

NOTA: L’episodio 117/128 che ho posto in esergo mi ha reso evidente una nuova struttura de Le Aziende in-Visibili. La narrazione irreale non si chiude su se stessa. Traspare tra le vicende narrate, emerge in esse una precisa referenzialità a forme e storie della realtà fattuale. Tanto mi è apparso, raffrontando il ristorante di Adrian e la Cooperlat di Jesi. E non avrei individuato la natura cosmica di Cooperlat senza la suggestione dell’episodio.

  • Piero Trupia |

    Rispondo collettivamente a Irada, Paolo (che saluto con un filo di nostalgia), Nicola, Gino, Gabriele, Paolo, Marco, Giuseppe.
    La crisi del sistema industriale, palese, è figlia della crisi, nascosta, dell’economia classica smithiana e dell’afasia degli economisti da allora ai nostri giorni. Così come per la psicologia e le altre scienze umane, anche l’economia ha venduto l’anima al quantitativo e alla matematizzazione. Lo dico da economista e da matematico. La crisi attuale è figlia della formula di Black e Scholes, vincitori del premio Nobel e falliti quando l’hanno applicata in prima persona. E’ aperta la questione del valore che è il cuore del discorso economico; non lo scambio e il mercato dove esso avviene. La matrice del valore è la cultura e questa, nella gestione d’impresa, si chiama vision. La vision genera la mission e non viceversa. M=f(V), funzione non invertibile, ma invertita nelle imprese harvardiane. L’imprenditore harvardiano è guidato dalla mano invisibile e pertanto è cieco; è un funzionario del mercato.
    Si esce dalla crisi, se ci si libera dei luoghi comuni e si scacciano i fantasmi mentali. Il più ossessivo è stato il costo del lavoro e si delocalizza. Ma esso per le industrie avanzate per processo e per prodotto scende fino al 3,7%. per le altre in media è il 17%.

  • gianluca |

    🙂 l’in-visibilità dell’incarnato (colore) sulla pelle.
    cinque o sei anni fa, in treno, tornando a casa, attraverso la campagna immensa che non è (ancora) ecologicamente industriata ad aiutare il parto della natura, no! fame per la terra e per l’uomo! un signore piuttosto anziano e la moglie attempata entrambi argentini, più trash che pirandelliana, ma tanto sottili e dallo sguardo più vivo del mio (giovane…) diceva che così diventerà come in argentina che nessuno coltiva la terra e tutto costa di più perché ‘finto’ … i tuoi post dipingono concetti, fanno apparire Cose.

  • Marco Minghetti |

    In Fb se ne discute ancora!:
    Irada Pallanca alle 0.10 del 10 marzo
    @Gino, sono d’accordo, transizione e nuovi modelli, nuovi tessuti connettivali, nuove dinamiche e sistematicità. Abbiamo spesso parlato di nuovo welfare di comunità la transizione comporta sicuramente riabilitare strutture e modelli, ma anche forse ridisegnare il territorio perchè assume una nuova identità in relazione alla sua destinazione non più di uso e di abuso, ma di condivisione e di scambio. Vorrei parlare in questa transizione di nuovi modelli di democrazia partecipata come i DES (distretti di economia solidale) e DRES (distretti rurali di economia solidale) perchè innovativi e stimolanti. Ci sono regioni pilota come le Marche ed il Friuli Venezia Giulia. Sviluppare visione attraverso il confronto e la sperimentazione di nuovi modelli di sviluppo. http://resfvg.blogspot.com/
    Gabriele Cazzulini alle 0.24 del 10 marzo
    grazie per una nota impregnata di profumi naturali e gastronomici. Sembra un revival dell’economia reale che non c’è più, quando scopri all’improvviso che c’è ancora e anzi sta battendo i concorrenti. Ma è anche sorprendente come questa tendenza non sia una retromarcia ma il risultato proprio della retromarcia opposta, cioè la crisi dell’industria alimentare “finanziarizzata”. Vorrei cavarci un frutto maturo da questo terreno di idee così fertili. Sembra, per rimanere nell’ambito delle papille gustative, un sapore opposto al web, quasi incompatibile. Davvero non può esserci integrazione tra rete alimentare e rete online? Davvero la qualità, almeno in ambito alimentare, ha voltato le spalle alla rete? Quesiti che sembrano riportarci indietro – invece stiamo guardando all’orizzonte. Evoluzione?
    Grazie Marco Giuseppe Vitale alle 6.11 del 10 marzo
    @Paolo: McDonald’s si troverà pure su un altro mondo ma c’è stato un panettiere di Altamura che ha fatto chiudere la sede locale della multinazionale perché è riuscito a far concorrenza ad essa. Un articolo sulla vicenda si trova qui: http://snipurl.com/di1p6 Lafocaccia di Altamura è poi sbarcata a New York: http://snipurl.com/di1t1
    Quale vision ha animato la folle impresa del panettiere Luca di Gesù? Forse anche l’incoraggiamento da parte di Onofrio Pepe, presidente di un’associazione costituita per tutelare la cultura alimentare locale. D’altronde Altamura è un comune dalla grande tradizione gastronomica soprattutto legata al pane. Dunque mezzo passo falso da parte di McDonald’s o merito della focacceria tradizionale? Forse un po’ tutt’e due gli elementi: un’impresa riuscita in una comunità abituata a mangiar bene.
    Giuseppe Vitale alle 6.20 del 10 marzo
    Aggiungo che questa vicenda è diventata un film di Nico Cirasola in uscita ad Aprile: http://www.focacciablues.it/ Giuseppe Vitale alle 7.51 del 10 marzo
    Già che c’ero ho parlato di tutta la vicenda e della docufiction nel mio blog: http://hellotxt.com/l/r5a8

  • Marco Minghetti |

    nuovi commenti da Fb:
    Nicola Poddy Bandoni alle 14.36 del 09 marzo
    meravigliosa Nota.
    Paolo Tella alle 15.22 del 09 marzo
    l’imprenditore può essere espressione di un territorio e portatore dei valori di un “genius loci” … oppure può andare in giro per il mondo ad aprire sedi economiche e competitive.
    Ci sono prodotti che prendono il nome dal territorio di cui fanno parte integrante: Colonnata, Marsala, Savuto, Fiano, Prosecco … ma anche Stradivari e tanti altri.
    Su un’altro mondo ci sono cocacola e macdonald.
    L’importante è saper scegliere il proprio mondo, sia da imprenditore che da consumatore.
    Parliamo, ad esempio, di etica? Ivonne Citarella alle 21.04 del 09 marzo
    Sarebbe auspicabile sempre e comunque che ci si rivolgesse verso una politica della civiltà che rieducasse al consumo e tendesse ad un ritorno alla natura , la sola che può salvaguardarci…..Grazie Marco!!! Saluti Gino Tocchetti alle 21.33 del 09 marzo
    Nel passaggio dalla economia industriale (economia di scala) all’economia digitale (riproducibilita’ a costo zero) e della conoscenza (bene comune pe un verso, comunque non facilmente replicabile per l’altro), il ” valore della quantita’ ” e’ crollato a picco. E’ chiaro che esistono ancora possibilita’ di business per aziende tipicamente industriali, ma sono basati su grosse forzature del marketing (occhiali che si vendono a 300 euro, …). Un’economia basata sui “saperi” e’ inevitabilmente piu’ “qualitativa”, per un verso, e piu’ “locale” (genius loci, appunto) per un altro, e cio’ la rende pu’ “sostenibile”. Dal possesso si passa alla fruizione. Dall’illusione si passa alla sensazione. Da un fragile benessere, costruito su bisogni indotti, si passa ad un benessere piu’ profondo, basato su bisogni genuini.
    Gino Tocchetti alle 21.34 del 09 marzo
    E’ vero che i segnali di questo cambiamento sono sempre piu’ frequenti, ma proprio e’ nella transizione che noi soffriamo, man mano che perdiamo i riferimenti precendenti, e che le nostre attrezzature (impianti, logistica, … e anche competenze, cultura, …) diventano obsolete, e non abbiano ancora compreso ed assimilato i nuovi modelli di business, le nuove dinamiche e i nuovi equilibri.

  • Marco Minghetti |

    Ancora da Fb:
    Irada Pallanca alle 13.57 del 09 marzo
    Riflessione…filiere corte, identità, integrazione con il territorio e valorizzazione delle tradizioni e cultura nonchè rievocazione di antichi saperi…mi sembrano comunque situazioni ormai diffuse o comunque che stanno emergendo quasi come ricette anti-crisi….ripieghi? sono sentite veramente o sono modelli di marketing destinati a fallire perchè non coerenti? tante aziende si sono perse nella filiera lunga tutti i valori ed il sentimento che immaginiamo essere contenuto di identità. Bisogna partire da un profondo reset? l’imprenditore oggi sà quello che dice e quello che fà? può avere visione? ha senso? quale cultura ha e conosce, o comunque si identifica? osservo l’approdo di nuove forme organizzate sociali come i RES (reti di economia solidale) i GAS (gruppi di acquisto solidale) i bilanci di giustizia, forme che in qualche modo promuovono beni relazionali e di condivisione…e mi domando dove si colloca l’imprenditore e l’azienda…

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